Marco Bonet. Il Corriere del Veneto. «L’intesa sull’autonomia per noi è chiusa, abbiamo fatto i compiti per casa e non ci servono esami di riparazione. Dal 2 ottobre la bozza sta sul tavolo del premier Conte: oggi sono qui per chiedere ufficialmente al governo di incardinare il provvedimento in parlamento».
Luca Zaia è stato ascoltato ieri dalla Bicamerale per l’attuazione del federalismo fiscale ma contrariamente a ciò che molti pensavano, non è stato lui a finire sulla graticola (le domande di deputati e senatori sono state all’acqua di rose) bensì l’esecutivo, sostanzialmente messo in mora dal governatore del Veneto che sempre ieri ha visto insieme ai colleghi delle altre Regioni il ministro per gli Affari regionali Erika Stefani. Nel mirino, ovviamente, ci sono i Cinque Stelle e difatti a stretto giro il vicepremier Matteo Salvini ha rincarato la dose: «Io sono al governo per i sì, se qualcuno è per i no ha sbagliato compagno di viaggio. L’Italia ha bisogno di sì, a colpi di no non si va da nessuna parte, per cui sulle autonomie bisogna andare avanti, e velocemente». Un avviso ai naviganti, d’altronde, era già partito lunedì, a Venezia, da uno sbuffante sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giancarlo Giorgetti: «L’autonomia? Siamo all’impasse, non si va né avanti né indietro ma non possiamo tirarla lunga».
L’obiettivo dei leghisti è togliere ogni alibi agli alleati, chiamandoli al «vedo» sulla riforma: la si vuole discutere in parlamento? Va benissimo per Zaia, «così chiariamo i dubbi e mettiamo fine a certe discussioni lunari. Basta solo che non si faccia ostruzionismo». E il ministro Stefani aggiunge: «Io sono apertissima a questa soluzione, stiamo solo attendendo che il parlamento decida l’iter». I timori del Sud? «Non è in discussione la perequazione nazionale – assicura Zaia – e con l’autonomia non sottrarremo risorse a nessuno, questo l’ha detto chiaramente, proprio durante l’audizione qui alla Bicamerale, la Sose (la società del ministero delle Finanze che si occupa, tra l’altro, di costi e fabbisogni standard, ndr .)». L’ostinato silenzio dei ministeri dell’Ambiente, della Salute, delle Infrastrutture, dei Beni culturali – tutti a guida M5s – confermato ieri dalla stessa Stefani («Ad oggi non sono stati sciolti i nodi politici su alcune richieste delle Regioni relativamente ad alcune materie. Sono nodi politici che devono essere analizzati e sviscerati, ad oggi non ho una rappresentazioni univoca»)? «Ciò che avevamo da dire, l’abbiamo detto – taglia corto Zaia – per noi l’intesa va bene così com’è». Insomma, avanti. Sbotta Attilio Fontana, presidente della Lombardia: «Qualcuno sta facendo discorsi di aria fritta perchè non vuole arrivare alla fine del processo. Dal punto di vista di merito è stato fatto tutti il lavoro che bisognava fare. Il governo ha ascoltato i presidenti, quale sarà la sua posizione ce lo farà sapere».
Il governatore pugliese Michele Emiliano prova ad infilarsi nelle crepe che si vanno aprendo a Palazzo Chigi: «Il governo non ci ha fatto capire come intende tirarsi fuori dai guai, dal ministro non ci è arrivata alcuna indicazione. C’è un conflitto gigantesco tra le Regioni, nel parlamento e all’interno del Paese, mi auguro che ci sia uno stop a tutto questo processo. Il governo, su questo, rischia di cadere».
Meno tranchant il campano Vincenzo De Luca: «Vogliamo capire bene dove si vuole andare a parare, serve una valutazione “prima” e non “dopo” da parte degli uffici di bilancio dello Stato e di Camera e Senato. Poi dobbiamo definire il fabbisogno standard e i livelli essenziali delle prestazioni e chiarire il tema dei residui fiscali, perché si rischia di destinare il Sud al degrado».
Per il dem Roger De Menech, presente in Bicamerale, «bene che Zaia abbia abbandonato il tema dei 9/10 delle tasse ma restano forti perplessità sul percorso che si vuole adottare e resta il dubbio che tutto sia legato soltanto a una spregiudicata tattica».