Un assegno un po’ più basso all’inizio, rispetto a quello che sarebbe scattato in seguito con più anni di lavoro. Con la prospettiva però di riguadagnare nel corso del tempo quanto perduto. Sulla possibilità di andare in pensione con Quota 100 stanno ragionando in queste settimane le centinaia di migliaia di italiani potenzialmente interessati al nuovo canale di uscita anticipata, che è una delle due misure-simbolo del decretone atteso in Gazzetta ufficiale a inizio settimana.
EFFETTO CONTRIBUTI
Naturalmente l’aspetto economico non è il solo rilevante e la decisione potrà dipendere da altre considerazioni anche di tipo più soggettivo. Va ricordato intanto che la riduzione del trattamento pensionistico non dipende dalle nuove regole: non c’è una penalizzazione esplicita (come era stato previsto invece nel 2012 per le uscite prima dei 62 anni) ma il semplice effetto dei minori contributi versati e del fatto che – per quanto riguarda la piccola quota retributiva dell’assegno – il pensionamento ad età più bassa porta con sé un taglio automatico dell’importo, per l’azione dei cosiddetti coefficienti di trasformazione. Lo stesso governo, basandosi su dati Inps, ha quantificato nel 15 per cento circa la decurtazione netta dell’assegno in caso di un anticipo di circa 4 anni rispetto alla pensione di vecchiaia, dunque nel caso di accesso a Quota 100 con 63 anni di età. Andare in pensione prima però rappresenta un vantaggio nel lungo periodo, perché naturalmente l’assegno pur se virtualmente più basso viene percepito per un periodo più lungo. Restando al nostro esempio di uscita 4 anni prima del traguardo dei 67, per una retribuzione netta mensile di 2 mila euro mensili si otterrebbe una pensione di 1.530 circa, ovvero il 15 per cento in meno rispetto all’assegno di vecchiaia. Ma in base alle ultime rilevazioni Istat, la speranza di vita all’età di 67 anni è di circa 19 anni: questo è l’arco di tempo nel quale ci si può attendere di percepire la pensione. Andando in pensione a 63 anni, se ne aggiungono altri 4. Dunque gli importi lordi corrispondenti alla pensione più bassa, rivalutati ogni anno per l’inflazione, si sommano per un periodo più esteso, raggiungendo un importo complessivo che – nel nostro esempio – è alla fine maggiore di circa il 3 per cento rispetto alla corrispondente somma sempre lorda messa insieme da chi ha lasciato il lavoro dopo. A questo punto entra però in gioco un altro fattore: ad una pensione un po’ più alta si applica una tassazione proporzionalmente un po’ più incisiva, vista la natura progressiva dell’Irpef. E così il vantaggio del trattamento relativamente meno elevato, proiettato nel tempo diventa un po’ più marcato in termini netti, avvicinandosi al 7 per cento.
IL RICAMBIO
Un altro elemento che sarà preso in considerazione soprattutto dai pensionandi che provengono da categorie professionali medio-alte è il divieto di cumulare la pensione con i proventi di una nuova attività lavorativa, come ad esempio una consulenza. L’incompatibilità resta in vigore fino alla maturazione dei requisiti con le regole della legge Fornero: una scelta motivata dal governo con la necessità di favorire il ricambio generazionale nelle posizioni lasciate da chi sceglie Quota 100.
Il Messaggero