Si scrive «Quota 100» ma per alcuni suona più come «la paura fa 90». Negli ospedali già sotto organico minimo ad esempio. Eppure, nel settore privato, la flessibilità in uscita potrebbe tradursi in una concreta opportunità di lavoro per chi non ne ha. «Secondo una stima di buon senso – spiega Tiziano Barone, Veneto Lavoro – il settore privato potrebbe vedere un buon turn over nelle aziende che vanno bene. Vale a dire un terzo del totale». Ma andiamo con ordine. Di che numeri parliamo per il Veneto? La stima nazionale parla di una platea potenziale di 350 mila lavoratori che nel triennio della «finestra» 2019-2021 avranno i requisiti per chiudere la propria carriera lavorativa in anticipo. «Se per il settore pubblico è più semplice fare un conteggio preciso, nel privato è più complicato – spiega il segretario regionale della Cgil, Christian Ferrari -ma parliamo di un 10-12% veneto rispetto al totale nazionale». Se fosse il 12% di 350 mila parleremmo di 42.000 persone in regione.
Il refrain è lo stesso per tutte le sigle sindacali: «Fare stime con una bozza di decreto in mano è difficile». E il giudizio è parimenti screziato. «Al netto della nostra contrarietà totale alla perequazione perché si fa cassa sul pensionato, ho la netta sensazione che molti, rispetto alla “cancellazione della Fornero”, rimarranno delusi. Si tratta di un intervento parziale e temporaneo. E restano fuori le donne, i giovani, i lavori discontinui e interi settori produttivi nei lavori gravosi come quelli dell’edilizia che difficilmente arrivano ai 38 anni previsti. La montagna ha partorito il proverbiale topolino. Noi proponiamo una riforma strutturale che metta al centro la condizione dei giovani e delle donne: questa è la vera emergenza sociale».
Piena sintonia con le valutazioni del segretario regionale della Cisl, Gianfranco Refosco: «Alcuni aspetti vanno sottolineati positivamente: la proroga dell’Ape (anticipo pensionistico ndr) e Opzione donna che facilitano già la flessibilità in uscita. Sarebbe da ingenui, però, prendere per buona l’equazione “un’entrata, un’uscita”, molte aziende potrebbero approfittarne semplicemente per ridurre il personale». Le criticità della «Quota 100» sono l’attesa di 5 anni prima di poter accedere al Tfr ma anche l’inevitabile decurtazione della pensione, il tetto di 5000 euro annui per il lavoro dopo la pensione e, aggiunge Refosco, «il rischio che avvantaggerà solo una classe d’età: chi compirà 62, 63 e 64 anni da qui a tre anni». Il vero tema, anche per Refosco, è «la pensione dei giovani».
A fare l’identikit del fruitore di «Quota 100» ci pensa la Uil. «È un’utile soluzione per i lavoratori del Nord e del settore pubblico, – spiega Gerardo Colamarco, segretario regionale della Uil – ma è meno efficace in quelle aree dove difficilmente si raggiungono i 38 anni di contribuzione ed è del tutto insufficiente per le donne. Pesa gravemente, poi, l’assenza di misure che valorizzino ai fini previdenziali il lavoro di cura e la maternità. Positivo, invece, lo sganciamento dall’aspettativa di vita per la pensione anticipata dei precoci e la proroga di Ape sociale. Ma non si parli di superamento della Fornero, non è ciò che sta accadendo».
I due allarmi più forti si concentrano sugli enti pubblici e, in particolare sulla sanità. I sindacati parlano di «rischio implosione» nel pubblico impiego se non si supererà a stretto giro il blocco del turn over. In manovra, però, il turn over si proroga almeno fino a novembre. Durissimo Adriano Benazzato di Anao, l’associazione dei medici ospedalieri: «”Quota 100” potrebbe dare il colpo di grazia alla sanità veneta. Impossibile dire quanti aderiranno ma ci aspettiamo un’ulteriore uscita di medici per ragioni di sistema che aggraverà la situazione giù gravissima, siamo sotto il fabbisogno minimo di organico di 1295 medici. Se non cambierà qualcosa, prevediamo che reparti e interi ospedali periferici vengano chiusi entro il 2023 alla luce delle sole uscite per età anagrafica, figuriamoci se aggiungiamo le uscite anticipate». Preoccupazione anche dal segretario Cgil della Funzione Pubblica, Daniele Giordano: «In Veneto si dice “becchi e bastonati” e ben si adatta ai lavoratori pubblici che, se vorranno sfruttare “quota 100” per andare in pensione, potrebbero aspettare fino a 8 anni per vedere la liquidazione. 7.000 lavoratori del pubblico, se vorranno l’anticipo del Tfr dovranno ricorrere ad un prestito bancario, un pizzo legalizzato. E in sanità non vorremmo che se ne approfittasse per privatizzare i servizi». La chiusa è di Ferrari: «Vedremo chi accetterà, più facile per un dirigente, meno per un operaio con la pensione decurtata. E dire che doveva essere la “manovra del popolo”». E, intanto, il ministro per la Famiglia Lorenzo Fontana, lamenta l’assenza nella bozza sul reddito di cittadinanza, di un sostegno alla disabilità: «Non avrà il nostro sostegno».
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