«La manovra è perfino migliorata», spiega Matteo Salvini a Lady Radio, dopo aver escluso per settimane qualunque tipo di ritocco, al pari del collega vicepremier Luigi Di Maio. Ma alla fine i ritocchi ci sono stati, per dieci miliardi, e dopo due mesi di trattative convulse si giunge a un accordo che eviterà la procedura d’infrazione della Ue. O che dovrebbe evitarla, visto che il vicepresidente della Commissione Valdis Dombrovskis parla di «accordo non perfetto» e spiega che «se le cose dovessero andare male, possiamo tornare sulla questione a gennaio».
Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte arriva solitario in Senato, in ritardo di un’ora, a spiegare quel che è accaduto. Le opposizioni si scatenano. «Questa manovra è stata scritta dall’Europa, alla faccia del sovranismo», dice Silvio Berlusconi. Gli fa eco Debora Serracchiani: «Con Lega e 5 Stelle siamo diventati sudditi dei tecnocrati di Bruxelles». Non la pensa così, il ministro dell’Economia Giovanni Tria. Che, a Porta a Porta, spiega: «La manovra l’ha scritta Roma. Bruxelles controlla i conti, non entra mai nel merito». Poi annuncia la data di partenza di reddito di cittadinanza e di quota 100. Non più a gennaio, non più a marzo, come si diceva ancora due giorni fa, e neanche «a fine marzo», come diceva ieri il premier («Su questo sono stato inflessibile»), ma «il primo aprile». Data che potrebbe suscitare qualche ironia, anche se il clima ieri non era favorevole a battute di spirito.
Perché il governo, grazie alla mediazione di Conte e di Tria, è riuscito a evitare la procedura d’infrazione ma ha dovuto cedere su molti punti. Con la revisione del deficit nominale, sceso dal 2,4 al 2,04. Con le previsioni di crescita, passate dall’1,5 all’1 per cento. E con due miliardi congelati, a salvaguardia dell’accordo. Il governo ha dovuto accettare rinvio e rimodulazione di reddito di cittadinanza e quota 100, e il taglio di 4,2 miliardi di investimenti. La Commissione accetta la riduzione dell’aumento del deficit strutturale dallo 0,8 allo zero, ma grazia l’Italia, perché sarebbe stata necessaria almeno una riduzione dello 0,1. Salvini fa buon viso a cattivo gioco, ma la sua assenza è significativa e polemica. Neanche Luigi Di Maio ha molto da gioire. Anche perché Jean-Claude Juncker, Valdis Dombrovskis e Pierre Moscovici hanno scritto una lettera al governo nella quale spiegano che «condizione per non far partire la procedura» è il varo entro l’anno da parte del Parlamento nella manovra. La Commissione continuerà a vigilare perché non ci siano deviazioni dalla rotta. Intanto le Borse tirano un sospiro di sollievo (Milano +1,59%) e lo spread cala a 255 punti. Sollevato anche Tria, che però ha subito il pressing degli alleati, sfociato nelle dimissioni del suo capo di gabinetto Roberto Garofoli. Il ministro nega di aver mai pensato a dimettersi: «Sarei stato irresponsabile». E aggiunge: «È chiaro che un governo che accetta le regole di Bruxelles non vuole uscire dall’euro».
Le opposizioni
Evitata la procedura d’infrazione. Ma le opposizioni attaccano: legge scritta a Bruxelles
Le opposizioni protestano, anche perché nei giorni scorsi le Commissioni erano state sconvocate. «Lo svilimento del Parlamento è totale», dice Andrea Marcucci. E Pier Luigi Bersani: «A Natale arriverà il pacco dono. È chiaro che la manovra l’hanno fatta i commissari, non devono prenderci per stupidi».
Ora la Lega dovrà far funzionare quota 100, mentre al Movimento toccherà occuparsi del reddito di cittadinanza (con gli enormi problemi connessi, a cominciare dallo stato dei centri per l’impiego). Ma presto nuovi temi si imporranno, mediaticamente e in Parlamento. La legittima difesa, per la Lega. E l’acqua pubblica, per il M5S.