C’è accordo sulle pensioni d’oro, superiori ai 90 mila euro lordi annui. Il taglio durerà 5 anni, in base a 5 aliquote, dal 10 al 40%. Ma quella più alta colpirà solo i super assegni sopra i 500 mila euro: una trentina appena. Sacrificabili, da un punto di vista politico. Messi da parte i dubbi, anche la Lega dunque avrebbe dato il suo via libera. Mentre su ” quota 100″ – la possibilità di anticipare la pensione con almeno 62 anni e 38 di contributi – la nebbia è ancora fitta.
L’esperto Alberto Brambilla già autore delle proposte previdenziali leghiste in campagna elettorale – ne annuncia la sostituzione con ” quota 104″. Ma Lega e Cinque Stelle lo smentiscono. « Le domande partiranno a gennaio, i primi assegni saranno pagati in aprile», garantisce Claudio Durigon, sottosegretario leghista al Lavoro. Ma il fondo per il 2019 scenderà a 4,7 miliardi due in meno di quanto stanziato, grazie al meccanismo delle finestre che, ritardando le uscite, consente di abbassare la spesa mentre crescerà a 8 miliardi sia nel 2020 che nel 2021 (due miliardi in più nel biennio).
L’emendamento alla manovra sulle pensioni alte è dunque pronto per essere depositato in Senato. È stato scritto e riscritto, poi presentato al premier Conte. Abbandonata l’idea del finto ricalcolo contributivo e retroattivo – inserito nel disegno di legge D’Uva- Molinari dell’estate scorsa, ma inviso alla Lega – la lunga trattativa sembra ormai planare verso il contributo di solidarietà: a tempo, secondo 5 aliquote a scaglioni ( 10- 20- 25- 30- 40%), per finanziare le pensioni più basse. Gettito medio annuo stimato: 130 milioni. Su 40-45 mila pensionati “d’oro”, il gruppo più numeroso – circa 31 mila – ricade in prima fascia: tra 90 e 130 mila euro lordi annui. Il sacrificio in questo caso varierà da 100 a 4 mila euro all’anno. Ovvero da 8 a 330 euro al mese ( al lordo delle tasse). Giudicato fattibile anche dall’alleato leghista, il più riottoso alla misura.
« Intervenire sulle pensioni d’oro è una misura di equità sociale », spiegava il premier Conte lunedì ai sindacati nella Sala Verde di Palazzo Chigi. Il taglio dunque ci sarà. Ma il meccanismo degli scaglioni – l’aliquota si applica solo sulla parte che eccede i 90 mila euro e in base a cinque differenti fasce – limita l’impatto finale. Una pensione da 95 mila euro, ad esempio, dovrà rinunciare allo 0,53% totale: 500 euro, 42 al mese. Un assegno da 120 mila euro subirà un taglio del 2,5%: 3 mila euro, circa 250 al mese. Va peggio ai trenta super fortunati, sopra al mezzo milione di pensione. Chi si trova a quota 550 mila, ad esempio, rinuncerà a 120 mila euro all’anno ( 600 mila euro nel quinquennio): il 22%. La pensione da un milione tondo verrà ” limata” di un terzo all’anno: circa 300 mila euro. Scontati i ricorsi. Non gli esiti, soprattutto se si punta all’illegittimità costituzionale.
Quota 100 invece scommette sulle finestre « trimestrali » . Lo spiega Durigon: « È il tempo che passa tra quando si matura il requisito e l’uscita vera e propria. I lavoratori aspetteranno tre mesi: la pensione sarà pagata da aprile. Gli statali sei, primi assegni a luglio. Nessuno verrà penalizzato ». Nel senso che non ci saranno ricalcoli contributivi. Ma l’assegno sarà tanto più basso quanto più si anticipa rispetto all’età di vecchiaia ( 67 anni dal 2019): meno contributi versati, pensione incassata per più tempo. Le finestre, dunque. Ma anche il divieto di cumulo fino al compimento dei 67 anni, ovvero di lavorare anche da pensionati. I due paletti, secondo il governo, farebbero scendere lo stanziamento di 2 miliardi. La proposta di Brambilla – subito declassata dal governo a contributo personale – puntava invece a “liberare” gli intrappolati di “quota 100” e della Fornero. Privi cioè dei requisiti per uscire con le regole nuove. Ma anche lontani dai 67 anni (vecchiaia) o dai 43 anni e 3 mesi ( anzianità). « Ci sono tanti bloccati con quota 100 al 31 dicembre 2018, mandiamo prima quelli che hanno più di 104 e poi tutti gli altri nei prossimi 24 mesi», dice. L’idea di premiare le quota da 104 a 108 – tradotto: chi ha 64, 65 o 66 anni e 40, 41 o 42 anni di contributi – non è però piaciuta a M5S e Lega. Nonostante evidenti risparmi di gettito.
Eppure Tito Boeri sostiene che i conti non tornano in nessuna delle « oltre 100 simulazioni » su quota 100 fatte dall’Inps che presiede. Si superano sempre gli stanziamenti in manovra. « Il governo continua a tenere segrete le tabelle su quota 100, ma l’Inps ce lo conferma: le risorse non ci sono » , reagisce Chiara Gribaudo, vicecapogruppo pd alla Camera.
LA REPUBBLICA