di Lorenzo Salvia. «Non voglio alimentare una guerra tra favorevoli e contrari. Preferisco analizzare i numeri». I numeri dicono che, per una volta, parlare di boom non è un’esagerazione: nel 2008 di voucher ne venivano venduti 500 mila, quest’anno si dovrebbe chiudere a 160 milioni. «Gli abusi ci sono stati e ci sono ancora. Sarebbe sbagliato negarlo, per questo bisogna affrontare il tema. Ma più che un dibattito ideologico serve un lavoro di analisi, settore per settore. Ad esempio circoscrivendo meglio i cosiddetti requisiti soggettivi».
Cosa intende? «In agricoltura la stretta c’è già stata: adesso i voucher possono essere utilizzati solo per studenti, pensionati e persone in cassa integrazione. Credo sia una buona scelta, studiando i numeri potrebbe essere estesa ad altri comparti». Maurizio Martina non è solo il ministro dell’Agricoltura, sia del governo Renzi sia di quello Gentiloni. È anche l’anello di congiunzione fra Matteo Renzi e un pezzo della minoranza Pd. Una posizione privilegiata per sondare i contenuti di un intervento, la stretta sui buoni lavoro da dieci euro l’ora, che dovrebbe riportare proprio (un po’) a sinistra la linea del governo.
Il referendum della Cgil chiede la cancellazione totale dei voucher. Lei come voterebbe?
«Sono contrario all’abrogazione totale. La finalità iniziale dei voucher era positiva: hanno fatto emergere una fetta di lavoro nero. Ma poi, con la progressiva liberalizzazione introdotta ben prima del governo Renzi, hanno rischiato di accentuare in alcuni settori la precarizzazione dei rapporti di lavoro. È su questa distorsione che bisogna intervenire».
Ritornando alla versione originaria dei voucher, utilizzabili solo per i lavoretti occasionali?
«Serve un lavoro di analisi settore per settore, che potremo fare solo quando avremo i dati completi della tracciabilità introdotta, voglio ricordarlo, proprio dal governo Renzi. E poi credo che il caso dell’agricoltura possa insegnare qualcosa».
Che cosa?
«Oggi i voucher in agricoltura rappresentano meno del 2% rispetto al totale di quelli utilizzati. Prima eravamo su livelli molto più alti, vicini al 15% del turismo, al 14% del commercio, al 12% dei servizi».
E cosa è cambiato per scendere al 2%?
«Un anno fa abbiamo circoscritto l’uso dei voucher alle tre categorie di cui parlavamo prima: studenti, pensionati, cassintegrati. E abbiamo introdotto un limite annuale, mila euro, alla somma che il singolo può incassare dallo stesso datore di lavoro sotto forma di voucher . Non è stato facile, il comparto non era d’accordo. Ma credo sia stato giusto e possa essere un modello. Anche se in alcuni settori si può fare di più».
Quali settori?
«Nell’edilizia si può pensare a un superamento complessivo dei voucher , forse è il settore a maggior rischio di abusi».
Non servono anche maggiori controlli e sanzioni più pesanti per chi viola le regole?
«Giusto discuterne. Sapendo che negli ultimi anni molta strada è stata fatta: in agricoltura, nel 2016, il gettito dei contributi previdenziali è aumentato del 7%, anche grazie ai maggiori controlli».
Ministro, in ogni caso questi correttivi lascerebbero in piedi il referendum sui voucher che ne chiede la totale cancellazione. Anche con un voucher riveduto e corretto, come crede che voterebbero gli italiani?
«La stretta sui voucher va fatta a prescindere dal referendum. Come voterebbero gli italiani non lo so. E non credo sia utile ridurre il tutto a un dibattito pre congressuale del Pd».
E l’altro referendum, quello sull’articolo 18? D’accordo con il suo ripristino?
«Non credo nel ritorno al passato. La discussione è stata fatta e sono convinto che il contratto a tutele crescenti sia la strada giusta. La madre di tutte le questioni, compresi i voucher, resta la stessa: rendere il lavoro stabile più vantaggioso di quello precario. Torno a un esempio concreto: con gli sgravi contributivi in agricoltura, nel 2016 abbiamo avuto più di 5 mila contratti a giornata o a tempo determinato trasformati in contratti stabili…».
Un’ultima cosa, ministro. Ma per le elezioni politiche andremo a votare a giugno?
«(Ride) Tanto non le rispondo».
Il Corriere della Sera – 28 dicembre 2016