Sì alla marcia indietro sui voucher, perché «i numeri sono abnormi e dimostrano che c’è stato un abuso». No al referendum sull’articolo 18 perché «paradossalmente farebbe aumentare i licenziamenti e renderebbe il lavoro più precario». Sul Jobs act Maurizio Del Conte è stato uno dei consulenti più stretti di Matteo Renzi, che lo ha messo a capo dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.
Presidente, uno dei tre referendum promossi dalla Cgil chiede di cancellare i voucher, i buoni per pagare i lavoratori a ore. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti non è d’accordo. Lei?
«Abrogarli no, perché hanno il merito di far emergere prestazioni che prima venivano fatte solo in nero. Però i numeri dimostrano che c’è stato un abuso. E il legislatore deve avere la coscienza di tornare sui suoi passi quando si accorge che gli effetti sono opposti a quelli previsti».
Quindi sarebbe opportuno tornare alle regole originarie, con i voucher utilizzabili solo per i «lavoretti»?
«Sì, e potrebbero essere espressamente esclusi alcuni settori, come l’edilizia. Bisogna impedire che i voucher vengono utilizzati al posto di contratti più stabili. Poche settimane fa, utilizzando i voucher, il Comune di Napoli ha promosso un piano di manutenzione del proprio patrimonio. Abbiamo esagerato».
Ma limitare l’uso dei voucher ai soli lavoretti significherebbe di fatto abrogarli. Con le vecchie regole ne venivano venduti mezzo milione l’anno, nel 2016 dovremmo arrivare a 160 milioni.
«Mi rendo conto che sarebbe una modifica importante».
E non vorrebbe dire sconfessare le scelte fatte dal governo Renzi?
«Per niente. La storia dei voucher non coincide con quella del governo Renzi. Anzi quel governo ha introdotto un sistema di tracciabilità che limita gli abusi. Credo però che sia arrivato il momento di fare un passo in più».
Prima del referendum?
«Sì, il ritorno alle origini è opportuno a p rescindere dal referendum».
E sull’articolo 18? Perché una vittoria del sì farebbe aumentare i licenziamenti?
«In Italia c’è stato un effetto soglia: molte aziende si sono tenute sotto i 16 dipendenti proprio per evitare l’articolo 18 e il reintegro nel posto di lavoro. Se vincesse il sì il tetto tornerebbe e anzi diventerebbe più basso, 5 dipendenti».
E quindi?
«Molte aziende ridurrebbero il loro organico per scendere sotto il nuovo tetto. Senza contare la proliferazione dei contratti a termine, il ritorno delle false collaborazioni…».
È in grado quantificare questo effetto?
«No, ma oggi nelle aziende tra 6 e 15 dipendenti lavorano circa 3 milioni di persone. Una platea non da poco. Senza contare gli effetti che nel medio termine avremmo sul Pil. Uno dei mali dell’economia italiana è il nanismo delle imprese. Col limite a 5 dipendenti avremmo un super nanismo. Diventando più piccole le aziende perderebbero competitività. E questo farebbe perdere ricchezza al Paese».
Il referendum sui voucher appare inevitabile. Alcuni, invece, sostengono che il quesito sull’articolo 18 potrebbe essere non ammesso dalla Corte costituzionale.
«Sono d’accordo. Il quesito non si limita a riportare indietro le lancette dell’orologio con l’abrogazione di una norma. Ma, con una nuova norma, inverte un processo diffuso in tutto il mondo: passare dall’incertezza della giurisprudenza alla certezza dell’indennizzo economico. Google, Amazon, i grandi investitori arrivati negli ultimi tempi si sentirebbero traditi e sarebbero tentati di andar via».
Sul referendum resta il terzo quesito, sugli appalti.
«Non sarebbe un dramma fare marcia indietro. Alla fine si tratterebbe di ripartire la responsabilità tra più imprese per gli eventuali crediti non pagati dal datore di lavoro».
Lorenzo Salvia – Il Corriere della sera 27 dicembre 2016