Se era tanto facile, vien da chiedersi perché si siano attesi 34 anni. Era infatti dal 1982 che il Veneto attendeva il Prac, il Piano regionale dell’attività di cava, e ieri, nel giro di mezz’ora, s’è fatto (quasi) tutto. Nuovi quantitativi da scavare, nuovi limiti e nuove deroghe, nuove procedure: sotto la spada di Damocle del commissariamento minacciato dal Tar, la maggioranza stavolta è andata dritta come un fuso.
Merito del «Collegato» al bilancio 2017, quella sorta di Arca di Noè normativa in cui di certo in ossequio a statuti e regolamenti, ma con altrettanto sicura frustrazione della dialettica politica, sono stati inseriti in questi giorni mille provvedimenti diversi, dalle liste d’attesa al ridisegno dei parchi, dalle Ipab alla holding autostradale del Nordest, approfittando del contingentamento dei tempi imposto ai consiglieri sia di minoranza che di maggioranza, questi ultimi peraltro quasi sempre silenti (l’intero Collegato va discusso in 30 ore, quando invece se ne sarebbero dovute dedicare 30 per ogni singola legge).
E dunque, con espresso accenno «alla migliore gestione dei materiali estratti nel corso della realizzazione delle opere pubbliche» (leggasi Pedemontana e bacini di laminazione) queste «Prime disposizioni in materia di pianificazione dell’attività di cava» confermano l’esclusione della provincia di Treviso dai nuovi possibili ampliamenti (inizialmente erano stati ipotizzati 200.000 metri cubi in dieci anni), e questo anche alla luce dei 60 milioni di metri cubi già autorizzati in passato che ne fanno la «provincia groviera» del Veneto, e stabiliscono la rimodulazione dei tetti introdotti nelle province di Verona (4,5 anziché 5 milioni) e Vicenza (4 milioni invece di 4,8), per complessivi 8,5 milioni al posto dei 10 previsti dal Prac (quello vero) che ancora galleggia in commissione Attività produttive. Vietata l’apertura di nuove cave per i prossimi 9 anni, è stato deciso che gli ampliamenti, possibili per le cave che raggiungono la «riserva» di 500 mila metri cubi, siano sottoposti a Valutazione di impatto ambientale con il successivo coinvolgimento delle Province e dei Comuni in Conferenza dei Servizi. Infine, per tutta la durata della coltivazione i cavatori dovranno versare alla Regione un 20% di quanto già corrisposto al Comune.
«Sono soddisfatto di questa mediazione nata dal confronto con i sindaci e il resto della maggioranza. Così rimediamo al “monopolio trevigiano” che finora ha caratterizzato il settore» commenta Massimo Giorgetti di Forza Italia che molto si è speso sull’argomento e soddisfatto è anche l’assessore all’Ambiente Gianpaolo Bottacin, che pure rimanda al Prac («Spero si possa approvare rapidamente») per una ridefinizione organica dell’attività di cava: «Intanto salvaguardiamo con buonsenso il consumo di suolo rispettando allo stesso tempo le esigenze del territorio circa la necessità di nuove escavazioni». Di avviso diverso, ovviamente, Pd e Cinque Stelle: «È l’ennesima riforma che avremmo dovuto trattare a parte e invece è stata inserita all’interno del Collegato senza alcuna urgenza se non quella di favorire un assalto alla diligenza» dice il dem Stefano Fracasso mentre i pentastellati contestano la mancata approvazione di emendamenti sul ripristino delle fasce di rispetto e il divieto di ampliamenti per le aziende che in passato abbiano violato la normativa in materia.
Sempre ieri, sono stati approvati i due emendamenti relativi al ridisegno dei confini dei Parchi dei Colli Euganei e della Lessinia, sostenuti da Sergio Berlato di Fratelli d’Italia e Stefano Valdegamberi della Lista Zaia, che tante proteste hanno suscitato tra i sindaci e gli ambientalisti (mentre gli agricoltori si sono da subito espressi a favore). Alla fine è passata la soluzione di mediazione già anticipata, quella che affida alla giunta il compito di modificare le planimetrie d’intesa con gli enti Parco e i Comuni, individuando accanto alle «riserve» tout court , «aree contigue» con vincoli attenuati, tali da consentire, ad esempio, la caccia ai cinghiali oggi vietata. La proposta, da redigere entro 90 giorni, dovrà passare per il consiglio, il che significa di nuovo sulla scrivania di Berlato che ieri ha attaccato i Parchi: «Non ce n’è uno che funzioni, sono carrozzoni che ci costano 3,7 milioni l’anno e non producono altro che burocrazia». Valdegamberi l’ha spalleggiato: «La questione non riguarda solo i cinghiali ma anche vincoli edilizi assurdi, come quelli che vietano a una malga di aprire un bagno».
Infine, è stato approvato all’unanimità un emendamento dell’assessore allo Sviluppo economico Roberto Marcato che propone di utilizzare il fondo di garanzia di Veneto Sviluppo per sostenere le imprese che, costrette a comprare azioni della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, le hanno poi messe a pegno di un credito, trovandosi con la svalutazione poi a perdere le garanzie. Marcato ha anche evidenziato il rischio, conseguente all’ipotizzata fusione, che «un‘azienda che ha stipulato due fidi, uno con ciascuna delle due banche, possa trovarsi a dover far fronte ad un unico fido con richiesta di immediato rientro dell’altro. Si rischierebbe il collasso».
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 21 dicembre 2016