di Margherita De Bac. È il numero uno al mondo nella ricerca sul meningococco. Il vaccino contro il tipo C, il batterio capace di scatenare una delle forme più aggressive di infezione delle meningi cerebrali, l’ha scoperto lui, a Siena, negli stabilimenti ex Sclavo ora passati a GlaxoSmithKline. Rino Rappuoli, responsabile scientifico mondiale dell’azienda — senese senza contrada— la storia dell’ondata di contagi in Toscana e dei casi che hanno impaurito gli studenti milanesi avrebbe potuto scriverla prima.
Siete sorpresi?
«Era già tutto previsto, come leggere un libro di testo, che ci fossero dei vaccinati non rispondenti, ultimo in ordine di tempo il bambino ora ricoverato a Firenze. L’immunità completa non viene mai ottenuta, resta sempre un 5% di incertezza. L’unico modo per sconfiggere il germe è eliminarlo con una campagna a tappeto, dall’infanzia fino ai 18-20 anni. Così abbiamo fatto in Gran Bretagna nel 2000. E adesso è libera».
Cosa significa?
«Il batterio non circola più, non esiste. E parliamo di una situazione in cui si contavano 1.500 casi all’anno. Lo stesso succederebbe da noi in un anno, visto che la situazione è meno grave, se riuscissimo a proteggere almeno il 90% della popolazione a rischio in modo da raggiungere la cosiddetta immunità di gregge. Anche chi non ha fatto la profilassi starebbe al sicuro. In Toscana l’adesione all’offerta dell’anti-meningococco è troppo lontana da questa percentuale».
Il fenomeno toscano è preoccupante?
«Bisogna insistere nel vaccinare soprattutto i bambini e i ragazzi tra 10 e 20 anni perché è tra loro che si trovano i portatori sani. Hanno il batterio, non si ammalano, ma lo trasmettono. Con la vaccinazione questo pericolo verrebbe annullato».
Cosa prevede, come sarà l’andamento dell’infezione?
«Questo è un ceppo più virulento degli altri, arrivato chissà come. Si sta riproponendo lo scenario visto in Nuova Zelanda e Stati Uniti. Se non si interviene rapidamente e con decisione i batteri si diffonderanno in tutta Italia. Guardiamo ad esempio ciò che è accaduto a Milano».
Come mai i vaccini, anche contro influenza o morbillo, non funzionano al 100%?
«Non lo sappiamo. Ipotizziamo che avvenga per fattori genetici individuali o ambientali, ad esempio per un uso improprio di antibiotici. Ma non c’è evidenza chiara. Comunque anche quando non c’è una protezione totale, aumentano le possibilità di prendere la malattia in forma lieve».
Come è nato il vaccino senese?
«Abbiamo cominciato a lavorarci negli anni Ottanta, nel 1991 il primo test sull’uomo. Il primo a registrarlo è stato il governo britannico, dove c’era una grande emergenza. Le difficoltà nel metterlo a punto? Superate grazie a una nuova tecnologia. E anche il vaccino contro il meningococco B, che entrerà dal prossimo anno nel calendario pediatrico nazionale, è stato ottenuto così».
Il Corriere della Sera – 21 dicembre 2016