L’indagine di FPA ripercorre i limiti di 26 anni di norme, nella speranza che – se non si getta la spugna – si possano finalmente cogliere i frutti di una riforma perfettibile, ma ambiziosa: un impatto sulla crescita della produttività e del PIL dello 0,6% tra 5 anni, pari a circa 9 miliardi di prodotto interno lordo in più (Dati Ocse)
Ad un anno dall’approvazione della Riforma della Pubblica Amministrazione Renzi-Madia, e a pochi giorni dalla riconferma del Ministro allo stesso dicastero, qual è lo stato dell’arte di una riforma che aveva, tra i suoi obiettivi, quello della semplificazione, della trasparenza, del taglio di sprechi e di un’innovazione che partisse dalle persone?
Luci ed ombre sono quelle che disegna la ricerca “25 ANNI DI RIFORME DELLA PA: TROPPE NORME, POCHI TRAGUARDI” condotta da FPA presentata oggi insieme all’Annual Report FPA: un’indagine che allarga lo sguardo sugli ultimi 26 anni – 18 Governi, 15 diversi Ministri della Pubblica Amministrazione, 8 legislature e oltre 15 interventi legislativi pensati per essere “epocali” e risolutivi – alla ricerca delle ragioni profonde che hanno portato le precedenti riforme a fallire, per non ripetere gli errori del passato e tracciare una rotta nuova.
Una rotta ancora possibile, a patto che si agisca in fretta, per quelle parti della riforma Madia già approvate e che già stanno mostrando i loro timidi frutti. Una riforma il cui primo bilancio – almeno sul piano delle deleghe arrivate al traguardo – è il seguente: 16 i decreti attuativi approvati in via definitiva; di questi, 2 (dirigenza e servizi pubblici) sono stati ritirati e poi decaduti e altri 3 (partecipate, direttori sanitari e “furbetti del cartellino”) sono in attesa di correttivi; 5 sono prorogati a febbraio insieme al provvedimento forse principale, il testo unico del pubblico impiego.
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20 dicembre 2016