di Gaetano Penocchio (presidente Federazione nazionale degli Ordini dei Veterinari italiani). L’Italia è risultata ultima insieme alla Spagna? Al 2013, in realtà, il consumo di antibiotici nel nostro Paese è sceso del 29%. Muove da questo dato la riflessione avanzata dalla nostra categoria, a margine del Consiglio nazionale, tenutosi di recente a Roma. La Federazione nazionale degli Ordini dei Veterinari italiani (Fnovi) è infatti intervenuta in merito a quanto reso noto dall’Ema (Agenzia europea del farmaco) che colloca il nostro Paese in coda alla classifica del Vecchio Continente.
Il rapporto diffuso dall’Ema tramite il progetto Esvac (European surveillance of veterinary antimicrobial consumption) fotografa lo stato di quella che indubbiamente possiamo definire un’emergenza mondiale. Va detto che la ricerca e lo sviluppo di nuove classi di chemioantibiotici, estremamente costosa e difficoltosa, procede a rilento, mentre i batteri, abituati a fare la guerra contro sostanze che li possono aggredire, sono altamente organizzati nel produrre geni di resistenza. Il problema è di estrema gravità in ambito umano poiché sempre più spesso antibiotici salvavita per l’uomo si dimostrano inefficaci, ma lo è anche in ambito veterinario.
Su questo secondo filone in particolare, teniamo a chiarire che i dati forniti dall’Ema hanno posizionato l’Italia ai primi posti per vendita di antibiotici in Europa dal 2010. Tuttavia i report successivi dimostrano che, a seguito di campagne informative, formazione ed emissione di linee guida ministeriali, nonché di attività intraprese dalla Fnovi stessa e dalle associazioni di categoria, risulta che il consumo di antibiotici si è ridotto in Italia al 2013 del 29% senza il ricorso ad alcuna restrizione nell’utilizzo, al contrario di quanto avvenuto in altri paesi europei. I più recenti dati Esvac posizionano nuovamente il nostro Paese al fondo della classifica insieme alla Spagna, tuttavia tali risultanze non appaiono conformi con quanto a disposizione del Ministero della Salute e dell’Industria per cui sono attualmente al vaglio per rilevare eventuali anomalie o discrepanze dovute alla trasmissione e all’elaborazione dei dati.
Riguardo alla presenza di antibiotici negli alimenti di origine animale, ciò crea facili allarmismi nei consumatori, sebbene sia costantemente monitorata dai servizi veterinari pubblici e dagli istituti zooprofilattici, attraverso una fitta rete di controlli, secondo quanto previsto dai piani nazionali. A tutela della salute del consumatore la normativa prevede che vengano rispettati dosaggi e tempi di attesa in grado di garantire residui di farmaci al di sotto dei Livelli Massimi Residuali, cautelativi per l’assunzione degli stessi con l’alimento.
È indispensabile tuttavia prestare la massima attenzione nell’utilizzo razionale degli antibiotici attualmente esistenti e delle loro associazioni, solo quando strettamente necessario e contro i germi specifici, causa della patologia, sotto prescrizione del medico veterinario che ha, tra i suoi compiti, proprio quello di ricorrere ad adeguati criteri diagnostici di tipo clinico, farmacologico, e strumentale.
Del resto, la questione legata all’antibiotico resistenza è un aspetto molto sentito sia dall’opinione pubblica sia dalla comunità medico-scientifica. Per questo, da sempre poniamo grande attenzione a tale problematica attraverso un impegno volto a favorire la ricerca, il confronto, la formazione e il dialogo tra tutti i soggetti coinvolti. Su tutto l’obiettivo di evitare l’abuso o comunque l’uso scorretto di antimicrobici con il rischio che ‘ad avere la meglio’ siano proprio loro, i batteri. Una eventualità che non possiamo assolutamente permetterci. A tal riguardo, il nostro compito è quello di agire in maniera preventiva e, al tempo stesso, sensibilizzare l’intera collettività.
Il Sole 24 Ore sanità – 20 dicembre 2016