di Federico Fubini. La questione fiscale è apparsa e scomparsa rapidamente dalla lunga campagna referendaria che l’Italia si è appena messa alle spalle. È persino possibile che essa non abbia avuto alcun impatto sul gradimento del governo di Matteo Renzi. Probabilmente non ne ha avuto in negativo, quando in questi anni sono state alzate certe aliquote sui redditi da capitale.
Ma curiosamente non sembra averne avuti neanche in positivo, dopo altre misure che invece avevano tutto per piacere a chi evade o ha problemi aperti con il Fisco: l’innalzamento da mille a tremila euro della soglia permessa per l’uso del contante, la sanatoria su penalità e interessi di mora per tasse e multe arretrate o la «rottamazione» di Equitalia.
Se davvero il governo Renzi ha provato a strizzare l’occhio agli evasori, la lezione di questi anni è che una strategia del genere non produce più consenso in automatico. Non nell’Italia del 2016, provata dalle crisi di debito e dalla povertà. Il governo di Paolo Gentiloni, se mai deciderà di tentare una propria politica fiscale, riparte da qui: l’evasione resta una patologia italiana, ma non è scontato che una maggioranza degli elettori oggi chieda che essa resti esattamente tale. Poiché l’iniquità nella distribuzione dei redditi è ormai determinante per gli assetti politici nelle economie avanzate, può essere utile cercare di capire per indizi dove si trova l’Italia oggi.
Non a buon punto. Grandi aree di diseguaglianza reale dei redditi nel Paese rimangono, perfettamente nascoste al Fisco. Lo suggerisce un semplice esperimento: il confronto fra il numero delle dichiarazioni d’imposta sulle persone fisiche (Irpef) superiore a 120 mila euro nel 2014 e la distribuzione di auto di lusso in Italia, grazie ai dati messi a disposizione dal Dipartimento delle finanze e dall’Automobile club Italia. Su base nazionale e delle singole regioni. Si tratta di un modello sviluppato da Elio Montanari, un ricercatore indipendente con una lunga esperienza di studi per i sindacati e nella valutazione d’impatto dei fondi europei. Ne emerge (nel grafico in pagina) il ritratto di un Paese nel quale i modelli di auto in circolazione dal costo di almeno 100 mila euro risultano di un terzo più numerosi dei redditi Irpef di fascia alta: sono 349.453 mila contro 269.093 dichiarazioni dei redditi elevate. In alcune regioni, specie nel Mezzogiorno e a Nordest, il surplus di modelli di lusso rispetto ai redditi di livello più alto è addirittura fuori da ogni scala spiegabile in un sistema dove prevale l’applicazione della legge.
Spicca la Calabria: presenta la quota più bassa d’Italia di dichiarazioni Irpef sopra i 120 mila euro (appena lo 0,17% del totale, contro l’1,1% in Lombardia), eppure il numero di Aston Martin, Audi di grossa taglia, Ferrari, Jaguar, Lamborghini, Porsche è addirittura triplo rispetto alle dichiarazioni più elevate.Queste ultime sono 2047, le «super-car» sono 6.095. Poco importa che anche un reddito Irpef da 120 mila o 150 mila euro molto spesso non basti per poter comprare e mantenere un’auto di quel tipo. In Basilicata, Puglia, Umbria, Abruzzo, Trentino Alto Adige la proporzione di «super-car» rispetto alle Irpef elevate è più che doppia; in Sicilia e Veneto, quasi doppia.
Solo in quattro regioni su venti — Lombardia, Lazio, Liguria e Piemonte — si contano più dichiarazioni Irpef da 120 mila euro o più che cosiddette «supercar». E proprio il fatto che fra queste si trovi la regione a più alta presenza di imprese, la Lombardia, fa pensare che le distorsioni non siano prodotte dalla diffusione di flotte aziendali di auto di lusso. Naturalmente un modello del genere ha dei limiti: in alcuni casi le auto di lusso sono genuinamente noleggiate dalle società, benché di solito siano meno grandi; e poiché questo modello misura i redditi Irpef, non cattura quelli di molti lavoratori autonomi e quelli da capitali. Allo stesso tempo, questo indicatore sicuramente sottostima il numero di auto di lusso: non include quelle immatricolate all’estero proprio per eludere, non tiene conto delle auto d’epoca e — spiega Montanari — non cattura tutti i modelli sopra i 100 mila euro di costo se in certe regioni alcuni sono poco diffusi.
In altri termini questa non è una diagnosi, ma solo uno screening sull’intensità dell’evasione diffusa fra gli italiani più benestanti e sulla reale diffusione della ricchezza in Italia. Segnala una realtà diversa da quella ufficiale. Lo ha capito bene la Guardia di Finanza, che da pochi mesi ha iniziato a usare i controlli stradali e gli autovelox con scopi innovativi: incrocia i dati per verificare se le auto sono assicurate o se alcune hanno targhe estere — Romania e Bulgaria molto diffuse — solo per restare sotto i radar del Fisco.
Il Corriere della Sera – 19 dicembre 2016