Ieri mattina fuori da Palazzo Ferro Fini il coro degli ambientalisti era uno solo: «Noi difendiamo i Colli Euganei, tu Luca Zaia cosa fai?». Ufficialmente una visita all’Antica Fiera di Santa Lucia di Piave, ma di fatto tra una carezza ai cavalli e un’occhiata ai concimi il governatore si è pure attaccato al telefono per ordinare alla sua maggioranza di sostituire in blocco il contestato articolo del Collegato alla legge di Stabilità proposto da Sergio Berlato, quello che mirava a ridisegnare il perimetro del Parco («risolvendo il problema dei cinghiali», assicurava lo stesso leader dei cacciatori; «eliminando il 90% dell’area protetta», lamentava il Partito Democratico).
Così alla fine i capigruppo di Zaia Presidente, Lega Nord, Forza Italia e Siamo Veneto hanno fatto sì che pure il numero uno di Fratelli d’Italia firmasse un nuovo testo, che concede tre mesi alla giunta veneta per avviare una concertazione con l’ente di gestione e con i sindaci del territorio, prima di portare in consiglio regionale la modifica della planimetria.
Dunque per ora la mappa, già allegata al progetto di legge per il quale è cominciata questa settimana la maratona consiliare di Bilancio, rimane solo un pezzo di carta. L’obiettivo di Berlato era di suddividere la superficie del Parco in «aree naturali protette» ed in «aree contigue o di pre-parco», permettendo che in queste ultime, antropizzate e urbanizzate, venisse esercitata la caccia controllata. «A chiedercelo — ribadiva ancora in mattinata il promotore — sono i territori devastati dalla proliferazione incontrollata dei cinghiali, che arrecano notevoli danni alle coltivazioni e sono causa di incidenti stradali».
Una delegazione di amministratori locali, però, scuoteva la testa. «Come emerso dalla seduta straordinaria di mercoledì a Monselice — ha affermato il consigliere comunale Rino Biscaro — il fronte dei contrari è vasto e trasversale, tanto che nel fine settimana a sostegno della domanda di ritiro dell’emendamento abbiamo raccolto le firme anche del commissario di Abano Terme e dei primi cittadini di Arquà Petrarca, Baone, Battaglia, Cinto Euganeo, Lozzo Atestino, Montegrotto, Rovolon e Torreglia (a cui si sono poi aggiunti, con un secondo documento, pure i colleghi di Este e Vo’ Euganeo, ndr. ), oltre che di quelli dei territori limitrofi di San Pietro Viminario, Due Carrare, Pozzonovo, Pernumia, Vighizzolo d’Este e Solesino».
Nel frattempo gli attivisti protestavano fra le calli con cartelli e striscioni. «Giù le mani dal Parco», ha scandito Gianni Sandon, portavoce dei comitati dei Colli Euganei. «Ritirino il provvedimento contenuto nel Collegato-omnibu s e dopo la Stabilità discutano con calma di una nuova legge», ha chiesto Ilario Simonaggio della Cgil. «Zaia ha le chiavi della Regione, ora si prenda la sue responsabilità», ha incalzato il residente Antonio Turban.
I manifestanti non potevano sapere che, proprio in quei concitati minuti, le cinque forze di maggioranza stavano depositando un emendamento sostitutivo dell’intero e discusso articolo 49. Evidentemente irritato dalla versione dei fatti fornita alla stampa da Berlato, che aveva dichiarato di aver avanzato la sua proposta in accordo con Zaia e con il resto della coalizione, il governatore ha imposto di riscrivere completamente il cruciale comma 1, quello che recitava: «La planimetria in scala 1:25.000 allegata alla legge regionale 10 ottobre 1989, n.38 è sostituita dalla planimetria di cui all’Allegato B alla presente legge». La famosa cartina contenente la revisione delle aree, per l’appunto, che adesso verrà invece riposta in un cassetto. Ecco infatti la nuova formulazione del testo: «Nelle more dell’insediamento dell’Ente gestore, la Giunta regionale, d’intesa con l’Ente Parco regionale dei Colli Euganei e con i Comuni ricompresi nell’area del Parco medesimo e nelle aree contigue, sottopone al Consiglio regionale la modifica della planimetria del Parco dei Colli Euganei e delle aree contigue, entro e non oltre novanta giorni dall’approvazione della presente legge». Ha spiegato Silvia Rizzotto, capogruppo di Zaia Presidente e incaricata dal governatore di risolvere la grana: «È evidente che c’è un problema legato ai cinghiali, ma è altrettanto evidente che la planimetria va rivista attraverso una condivisione con il territorio. Berlato sa bene che su questo Zaia è stato molto chiaro, tant’è vero che il presidente ci ha chiesto di presentare l’emendamento già di buon mattino, perché non ci fossero altri malintesi. Infatti lo stesso metodo sarà applicato anche all’emendamento di Stefano Valdegamberi sul Parco della Lessinia». D’accordo pure Cristiano Corazzari, assessore ai Parchi: «Ottima soluzione, la giunta lavorerà con i sindaci alla salvaguardia dell’area protetta».
Servita all’opposizione su un simile piatto d’argento, la polemica tutta interna alla maggioranza ha inevitabilmente suscitato sorrisi bipartisan. «Avevamo ragione noi — ha esultato Graziano Azzalin, a nome del Pd — e con noi gli amministratori e i cittadini che hanno protestato contro la legge che demoliva il Parco dei Colli. Questo cambio di rotta è un primo risultato, anche se non ci va bene la delega alla giunta: cosa ci stanno a fare allora le leggi?» (perplessità condivisa da Angelo Mancone, responsabile aree protette di Legambiente Veneto: «Basta con le furbate delle lobby, bisogna dare uniformità alla materia»). All’attacco anche Jacopo Berti e Manuel Brusco del Movimento 5 Stelle: «Lo stop a Berlato, probabilmente un modo per salvarlo da una figuraccia, deve ora portare al ritiro totale del provvedimento».
Berlato però non ci sta a passare per sconfitto: «Nessuna retromarcia, abbiamo solo voluto evitare di prestarci ad accuse strumentali sul metodo, mentre nessuno ha sollevato contrarietà nel merito. Concediamo allora questi 90 giorni, ma se entro questo termine perentorio la giunta non riuscirà a trovare l’intesa con i Comuni, il consiglio procederà d’ufficio approvando la proposta di planimetria iniziale».
Quei cinghiali arrivati da Est che devastano le colline «Ecco perché affidarsi ai cacciatori è un errore»
Non è chiaro come i cinghiali, precisamente la specie «ibrida» di matrice centroeuropea, abbiano colonizzato i Colli Euganei. Di certo l’invasione è cominciata in anni recenti, due o tre decenni fa. E quelle colline ricche di boscaglia, coltivazioni, vigneti e – soprattutto – prive di predatori naturali si sono rivelate un habitat perfetto. «Di più, un paradiso» afferma Michele Bottazzo, faunista di Veneto Agricoltura. «Anche perché il cinghiale non ama la pianura né le alte quote: sui Colli si è trovato perfettamente a proprio agio, come in buona parte della fascia prealpina». E calcolando che la tipologia ibrida, contrariamente alle razze nostrane, si riproduce mediamente due volte l’anno (con cucciolate di 8 o 10 esemplari per femmina) il problema è diventato un’emergenza. «Non solo nel Padovano» puntualizza Bottazzo, «ma anche nel Trevigiano». «Sopra Valdobbiadene, sul Monte Cesen, il 90% dei 350 ettari di pascoli è stato completamente devastato. Un disastro. Pure in Lessinia abbiamo riscontrato problemi, sebbene nel Veronese siano stati introdotti esemplari più simili a dei maiali selvatici. Anche in questo caso, non sappiamo da parte di chi».
Impossibile, secondo lo specialista di Veneto Agricoltura, stimare la popolazione di ungulati dato l’elevatissimo tasso di riproduzione. Ma gli esperti non hanno dubbi: bisogna procedere con gli abbattimenti selettivi al ritmo di almeno un migliaio di capi ogni 12 mesi. Sui Colli Euganei, le squadre coordinate dal Parco hanno ucciso (al 31 ottobre scorso) 933 esemplari. Il bilancio del 2014 ne aveva conteggiati 899. L’annus horribilis è stato il 2015, quand’è esplosa la crisi che ha semiparalizzato l’Ente: appena 315 animali, 186 maschi e 129 femmine. Cosicché migliaia di bestiole sono potute nascere, crescere («una femmina è già fertile a meno di un anno di vita», spiega Michele Bottazzo) e riprodursi indisturbate. Vanificando almeno in parte le campagne di contenimento condotte negli anni precedenti.
Ora c’è da ripartire in quarta. «Ma senza rivedere i confini del Parco. Mi stupisco che la Regione discuta un progetto simile: chi l’ha promosso ha abboccato all’esca dei cacciatori». Giampiero Sammuri è il presidente nazionale di Federparchi, l’associazione che rappresenta le aree protette italiane. Da decenni affronta l’emergenza e assicura di conoscere a fondo la realtà dei Colli. Dal 2012, oltretutto, guida il Parco Nazionale dell’Arcipelago Toscano, dove la questione cinghiali è all’ordine del giorno fin dagli anni ‘90. «Le campagne di contenimento – afferma – sono efficaci solo se concepite e coordinate dai Parchi. All’Elba abbiamo sviluppato un piano che prevede 120 punti di tiro e l’utilizzo di trappole sui 12.500 ettari di nostra competenza: in un anno catturiamo fino a 1.200 animali contro le poche centinaia uccise delle otto squadre di doppiette in azione nel resto dell’isola, su un territorio altrettanto vasto. Il motivo è fin troppo evidente: ai cacciatori non interessa risolvere il problema o quantomeno arginarlo, bensì avere sempre animali da cacciare. Riducendo i confini dell’area protetta e affidando a loro gli abbattimenti la situazione si aggraverebbe. Lo spiegheremo anche alla Regione Veneto, se non abbandoneranno il progetto».
Anche perché l’onere potrebbe tramutarsi in risorsa, con le dovute misure legislative. «La carne di cinghiale è sanissima, fra le migliori in circolazione. Ma è considerata selvaggina e non può essere lavorata insieme a quella d’allevamento. Servirebbe una legge regionale – puntualizza Michele Bottazzo – che disciplini la materia per ridurre burocrazia e costi. L’Emilia Romagna ha già varato un provvedimento simile, la Toscana lo farà a breve. Se anche il Veneto si adeguasse potremmo creare un indotto». E festeggiare a suon di pranzi e cene.
Il Corriere del Veneto – 13 dicembre 2016