Quello presieduto da Paolo Gentiloni è senz’altro un governo nato in continuità con quello di Matteo Renzi, come ha ammesso lo stesso neo-premier nella sua breve presentazione al termine del colloquio con il Presidente Sergio Mattarella al Quirinale(«come si può vedere dalla sua composizione, il governo proseguirà nell’azione di innovazione dell’esecutivo Renzi»).
Continuità, dunque, con qualche elemento di novità non banale dovuto soprattutto agli equilibri interni al Pd. I verdiniani, non avendo ottenuto ministeri, si sfilano. Intanto il caposaldo dell’Economia resta nelle sicure mani di Pier Carlo Padoan, garanzia nei confronti dell’Unione europea e dei mercati finanziari. Così come restano a Graziano Delrio e Carlo Calenda le importanti caselle delle Infrastrutture e dello Sviluppo economico. Viene poi creato il ministero della Coesione territoriale e Mezzogiorno, affidato a Claudio De Vincenti, che continuerà dunque a gestire i fondi Ue pur lasciando il posto di sottosegretario alla Presidenza. Passaggio importante è quello di Angelino Alfano dal Viminale alla Farnesina, passaggio cercato dallo stesso leader centrista anche in chiave pre-elettorale: passati in sicurezza gli appuntamenti dell’Expo di Milano e del Giubileo di Roma, Alfano lascia volentieri la gestione della delicata questione dei migranti – divisiva per l’elettorato moderato che a lui fa riferimento – in mani democratiche. E cioè nelle mani dell’ex dalemiano Marco Minniti, nei governi Letta e Renzi con la pesante delega ai servizi segreti. Proprio l’ipotesi di un passaggio agli Interni di Minniti ha creato nei giorni scorsi il “sospetto” che i servizi finissero nelle mani del fedelissimo di Renzi Luca Lotti in una sorta di commissariamento del nuovo governo. La delega ai servizi passa invece nelle mani dello stesso premier Gentiloni, e Lotti diventa ministro senza portafoglio dello Sport mantenendo comunque le deleghe del Cipe e dello Sport attribuitegli da Renzi come sottosegretario a Palazzo Chigi, Nessuna diminutio, insomma. Anzi, tra Palazzo Chigi e Largo del Nazareno si fa notare come Lotti sarà il punto di congiunzione tra governo e partito in una fase di fatto già congressuale. L’altra esponente del “giglio magico” di cui si è parlato molto in questi giorni dandola in uscita, la madrina della riforma costituzionale bocciata al referendum del 4 dicembre Maria Elena Boschi, resta anche lei in una posizione chiave come quella di sottosegretaria alla Presidenza del Consiglio (gli altri sottosegretari verranno nominati con un Cdm dopo la fiducia alla Camere). E anche lei, come Lotti, con un occhio all’imminente congresso del partito. D’altra parte il Pd prende atto del voto referendario con l’abolizione del ministero delle Riforme, ma non sconfessa una riforma a lungo voluta e sostenuta. Come dimostra anche la nomina a ministra per i Rapporti con il Parlamento (altra delega di Boschi nel governo Renzi) di una figura come Anna Finocchiaro, che da presidente della prima commissione del Senato ha a lungo lavorato per il buon successo della riforma del Senato e del Titolo V in Parlamento. La scelta di un “peso massimo” Finocchiaro, ex dalemiana e non certo renziana della prima ora, ha anche il significato di coprire meglio l’ala sinistra del Pd. E in questa direzione va anche la scelta della senatrice Valeria Fedeli per il ministero dell’Istruzione al posto di Stefania Gianni, che esce dal governo.
L’accusa di “fotocopia” del governo Renzi che arriva dalle opposizioni viene respinta nettamente tra Palazzo Chigi e Largo del Nazareno, laddove si fa notare che la continuità, preso atto che nessuna forza di opposizione ha voluto accettare l’invito del Pd a dare vita a un governo di solidarietà nazionale, è una scelta ben precisa. E si ricorda il precedente della fine del governo D’Alema, dimessosi dopo una sconfitta alle regionali e non per una sfiducia delle Camere, che fu sostituito dal governo Amato con sole due sostituzioni. D’altra parte il governo Gentiloni nasce, come ribadito ancora ieri dal leader del Pd Matteo Renzi, con l’obiettivo di assicurare al Paese una legge elettorale il più possibile efficiente per poi andare alle elezioni anticipate il prima possibile. E su questo c’è pieno accordo tra Renzi e Gentiloni. «Il nuovo governo si adopererà per facilitare il confronto tra le forze parlamentari per individuare le nuove regole per le leggi elettorali», ha detto il neo-premier dopo aver letto la lista dei ministri. L’altra priorità individuata è quella del lavoro: «Non possiamo ignorare le varie forme di disagio, specie nelle fasce più deboli del ceto medio e specie nel Mezzogiorno, dove il lavoro è un’emergenza più drammatica che altrove, e sarà una vera priorità del nostro impegno nei prossimi mesi». Quanto sull’Europa, assicura Gentiloni, «sarà mio impegno nei prossimi mesi» la battaglia «per politiche migratorie comuni e finalmente orientate alle crescita».
Emilia Patta – Il Sole 24 Ore – 13 dicembre 2016