Maurizio Tropeano. «Purtroppo ora è tardi per mettere in piedi una squadra che individui e distrugga i nidi. In questa stagione, infatti, sono già spopolati e le regine di velutina, già fecondate dai maschi, stanno iniziando il periodo di svernamento in attesa di fondare una nuova colonia. A primavera la popolazione di calabroni potrebbe aumentare esponenzialmente».
Laura Bortolotti entomologa del Crea (Il consiglio per la ricerca in Agricoltura) e coordinatrice della rete StopVelutina lancia l’allarme sulla penetrazione del killer delle Api. Per la prima volta dal 2012, quando il calabrone asiatico, pericoloso insetto alieno predatore di api e altri impollinatori, è apparso nel Ponente ligure, è stato trovato a 300 chilometri dalla zona rossa a Bergantino, in provincia di Rovigo, sul confine con la Lombardia e a 15 chilometri da quello con l’Emilia. Ad ottobre è ritornato in provincia di Cuneo e in quella di Torino.
I suoi spostamenti sono seguiti attraverso la rete scientifica StopVelutina, coordinata dal Crea e comprendente Cnr, università di Firenze e Pisa e associazioni di apicoltori che adesso guardano con preoccupazione alla prossima primavera. Comparsa in Europa per la prima volta nel 2004 in Francia, la Vespa velutina è stata responsabile, secondo i dati forniti dalla Francia stessa, della perdita di alveari pari al 50% con un avanzamento potenziale di 100 chilometri all’anno. Oltre a cacciare direttamente le api all’ingresso dell’arnia, il calabrone impedisce loro di uscire per raccogliere nettare e polline, indebolendo in questo modo anche le colonie che rischiano di morire. Ecco perché i ricercatori e gli apicoltori di StopVelutina, già impegnati nella ricerca di metodi di monitoraggio e controllo del predatore, sono entrati in contatto con il Veneto e le regioni limitrofe: «E’ necessario intervenire sul posto il prima possibile per tentare di fermare questo nuovo focolaio e sventare il rischio di espansione in tutto il Paese». ma non basta. dal loro punto di vista «è sempre più urgente il finanziamento di una rete di monitoraggio scientifica, composta da alveari sentinella, in grado di intercettare l’avanzata di questo e altri parassiti». Il miele d’acacia è passato da 266 tonnellate a 91, mentre quello biologico da 437 a 184 tonnellate in un anno. Non è mai successo in 35 anni.
Boom delle importazioni
Il rischio? Un ulteriore diminuzione della produzione nazionale, ma anche la riduzione dell’essenziale lavoro di impollinazione delle api che vale almeno 3 miliardi. Quest’anno, comunque, la produzione si attesterà sotto le 20 mila tonnellate «per colpa dell’andamento climatico ma anche per gli effetti dei parassiti, oltre alla Varroa destructor anche i focolai di Aethina tumida e i ritrovamenti di Vespa velutina, hanno determinato danni e gravi ostacoli all’operatività degli apicoltori». Meno produzione italiana significa un aumento delle importazioni che l’anno scorso sono arrivate a 23,5 milioni di chili Un record storico che vede al primo posto l’Ungheria (7,4 milioni di chili) seguita da Cina, Spagna e Romania.
Un danno che va sanato poiché colpisce un settore, che conta circa 50 mila apicoltori, con 1,39 milioni di alveari e un giro d’affari stimato di 70 milioni. La produzione media per alveare, nelle aziende apistiche professionali (sono circa 2000 quelle che gestiscono più di 150 alveari) è di circa 33.5 kg/alveare mentre la media nazionale generale è di 17,5 kg/alveare.
La Stampa – 11 dicembre 2016