I lavoratori padovani prendono il 3,2% di meno della media dei loro colleghi veneti. A dirlo il JP Geogrphy Index di Job Prising, la società di consulenza manageriale che può consultare oltre 250mila profili retributivi di lavoro dipendente in Italia nel settore privato.
Secondo il report annuale della società, le notizie – pure non particolarmente positive per i lavoratori padovani – sono migliori di quelle dell’anno scorso visto che la provincia, nei primi sei mesi del 2016 ha scalato ben sei posizioni nella classifica delle 110 principali province italiane. E tuttavia con un reddito medio di 28.306 euro annui, i dipendenti del settore privato di Padova continuano a rimanere nella fascia media della classifica. Ben al di sotto dei 34.414 euro dei colleghi che vivono a Milano (prima in Italia), dei 30.685 euro annui dei romani (decimi in classifica) e di molti altri. Anche nella classifica veneta delle retribuzioni Padova si trova terz’ultima precedendo solo Venezia (28.263 euro annui) e Belluno (27.980 euro annui). Diverse le retribuzioni medie dei lavoratori di una Verona che si colloca in undicesima posizione in Italia con 30.633 euro annui procapite. Ma vanno bene anche i dipendenti di Vicenza, che in media all’anno prendono 29.533 euro, quelli di Treviso che riescono a portare a casa 28.670 euro lordi e pure quelli della più piccola Rovigo (28.439 euro annui) che si colloca 34a in classifica generale, tre posizioni al di sopra della città di Antenore. «Da questi dati colpisce sopratutto che una provincia ricca come quella di Padova sia in una posizione medio-bassa», dichiara Christian Ferrai, segretario della Cgil di Padova. «A Padova in particolare abbiamo assistito negli anni a terziarizzazioni ed esternalizzazioni pesanti che hanno interessato massicciamente il lavoratori e i processi produttivi. Un percorso che ha puntato alla svalutazione del lavoro come elemento di una competitività che va chiaramente ricercata altrove». Ma il segretario della Cgil locale fa notare pure come in questo caso si tratti di lavoro “tradizionale”, quello garantito da un contratto nazionale di lavoro che vede difficoltà sempre crescenti per essere rinnovato. «Oltre al tentativo di uscire dai binari della contrattazione nazionale, alcune associazioni datoriali puntano contemporaneamente al taglio di quella contrattazione di secondo livello che in altri contesti si dice di volere incentivare», continua Ferrari. «Una situazione che rischia di avvicinare anche i più “garantiti” a quella soglia di lavoro povero che è tipica di migliaia di lavoratori padovani che non sono stati presi in considerazione dalle studio e che avrebbero abbassato pesantemente la media retributiva fino a qui analizzata». (Riccardo Sandre)
IL MATTINO DI PADOVA – Mercoledì, 07 dicembre 2016