Dopo il voto di domenica tutti – o quasi – vogliono andare a votare il più presto possibile. Tanta è la fretta che qualcuno si dimentica che ci sono anche dei tempi tecnici per sciogliere le camere e preparare le elezioni.
Tutta questa fretta non è difficile da spiegare. Per Matteo Renzi e Angelino Alfano l’idea di appoggiare un governo, che potrebbe durare più di un anno in condizioni difficili, non piace affatto. Il ricordo degli effetti elettorali del governo Monti non è stato dimenticato. Quello è stato il governo che ha aperto la strada al M5s a livello nazionale. Meglio dunque andare a votare subito per non ripetere quella esperienza. Il problema però è come, cioè con quale legge elettorale. Al momento ce ne sono due – una alla Camera, un’altra al Senato – e sono molto diverse tra loro. Tanto diverse da rendere difficile immaginare di poter votare senza mettere mano prima a una riforma elettorale.
Dopo la vittoria del No la situazione è questa. Alla Camera è in vigore un sistema elettorale maggioritario di lista a due turni, l’Italicum. Chi arriva primo con il 40% dei voti prende il 54% dei seggi. Se nessuno arriva a quella soglia i due partiti più votati vanno al ballottaggio e chi vince si prende il 54% dei seggi. Per avere seggi basta arrivare al 3% dei voti. Insomma, con questo sistema elettorale in un turno o in due turni si sceglie un vincitore che forma il governo. In gergo, è un sistema majority assuring, cioè garantisce una maggioranza assoluta di seggi. Allo stesso tempo, con una soglia così bassa (in Germania è il 5%) anche i piccoli partiti possono essere rappresentati.
Al Senato invece l’Italicum non c’è. C’è un sistema elettorale proporzionale disegnato dalla Corte costituzionale con la famosa sentenza del gennaio 2014 che ha cancellato il famigerato Porcellum. Allora la Corte decise di abolire i premi di maggioranza che erano previsti a livello regionale sulla falsariga del premio esistente alla Camera. Lasciò però in piedi le soglie di sbarramento a livello regionale che sono un po’ particolari. Per i partiti che preferiscono presentarsi da soli la soglia è piuttosto elevata, l’8 per cento. Per quelli che fanno alleanze c’è uno sconto sostanziale. Infatti si passa dall’8 al 3 per cento. Non male. Ma lo sconto richiede che sia soddisfatta una condizione. La coalizione deve arrivare al 20% dei voti. Quindi una coalizione di piccoli partiti potrebbe non farcela. È la ragione per cui Monti nel 2013 si presentò al Senato con una lista unica, mentre alla Camera con regole diverse potè presentarsi con una coalizione di liste.
In sostanza, queste soglie mettono i piccoli partiti alla mercé dei più grandi che sono i soli con i quali i piccoli possono sperare di arrivare al 20 per cento. Questa dipendenza è il risultato dell’abolizione del premio. Con il premio il rapporto tra partiti piccoli e partiti medio-grandi era più equilibrato. I piccoli avevano bisogno dei grandi per avere lo sconto, ma i grandi avevano bisogno dei piccoli per conquistare il premio. L’intervento della Consulta ha squilibrato questo rapporto mettendo i piccoli alla mercé dei grandi. In questo modo sono i grandi a decidere chi entra in parlamento e chi no. Ma è costituzionale? La Corte non se ne accorse allora. Ma non c’è da sorprendersi: non sono cose da giuristi.
Ci piace ricordare la sentenza del 2014 perché il 24 gennaio la Consulta dovrà esprimersi sull’Italicum. Ci sono dei ricorsi pendenti. Sarebbe stato meglio che la decisione arrivasse prima. L’attesa su una questione così rilevante non fa che alimentare ulteriore incertezza in una fase molto delicata della politica italiana. Impossibile dire cosa deciderà la Corte. Qualcuno pensa che possa arrivare a eliminare il ballottaggio. E forse anche il premio. Sarebbe una decisione gravissima. Ma può succedere. Se fosse così, si aprirebbe uno scenario nuovo. Lo abbiamo già scritto e lo ripetiamo. Senza ballottaggio i sistemi elettorali di Camera e Senato sarebbero abbastanza simili – tutti e due proporzionali – da poter essere utilizzati per andare a votare in primavera. Ci sarebbe il problema delle soglie, visto che alla Camera sarebbe il 3% e al Senato sarebbero ancora quelle descritte sopra con la formula 3-8-20. Ma forse, vista la voglia dilagante di urne, un qualche accordo in Parlamento per abbassarle si troverebbe in tempi rapidi. Su questo per i partiti è facile colludere. La complicità su queste cose è regola del gioco.
Ci sarebbe sempre il problema che al Senato non votano i diciottenni, per cui il rischio di esiti diversi tra le due camere non si può escludere. Ma di questo particolare i nostri rappresentanti non si sono mai preoccupati. Il voto ai diciottenni avrebbe dovuto essere introdotto già molto tempo fa. Al più tardi quando fu introdotto il sistema maggioritario nel 1993. Se non si andasse a votare nella primavera 2017, questa è una piccola riforma costituzionale che dovrebbe essere fatta in fretta per essere operativa per le elezioni della primavera 2018. Intanto aspettiamo la sentenza della Corte.
Il Sole 24 Ore – 7 dicembre 2016