«Così per noi non basta. Se con la legge di Bilancio al Senato non vengono recuperate le risorse per noi irrinunciabili e a costo zero per lo Stato, non ci sono le condizioni per fare il contratto». Se è vero che l’accordo sul pubblico impiego rappresenta una cartina di tornasole per tutti i dipendenti pubblici, i medici stanno in guardia e mantengono le loro posizioni. «Per noi, adesso, la manovra è assolutamente asfittica, un piatto di lenticchie», afferma Carlo Palermo, vice segretario nazionale Anaao, il primo sindacato dei medici Ssn.
Nella sanità pubblica, del resto, il fermento cresce. Con i camici banchi in prima fila nell’esercito degli oltre 630mila dipendenti, di cui 130mila tra medici e dirigenti sanitari. Anche perché c’è una “questione medica”, un vero e proprio disagio di categoria che va montando dopo sette anni di stop ai rinnovi e di mancato (o quasi) turnover che da una parte va sgretolando antiche certezze, dall’altro rende il lavoro sempre più duro in corsia e intanto frena l’ingresso dei giovani dottori, gli specializzandi che non trovano posto.
I dottori d’Italia invecchiano, ma vengono rimpiazzati col contagocce: si calcola che nei prossimi dieci anni perderemo due medici al giorno, un’enormità. «Ma è un calcolo prudenziale – mette in guardia Palermo -. Perché ai ritmi attuali del turnover, il calo dei medici del Ssn sarebbe anche superiore. Con tutto quello che ne può derivare per la qualità delle cure e la sicurezza dei pazienti. Ecco, vorremmo sapere cosa davvero il Governo vuol fare della sanità pubblica, quale sia l’orizzonte. Ma attenzione: questo vale forse anche di più per le regioni che impediscono di mettere in campo gli strumenti indispensabili, dimostrando l’assenza di una visione strategica».
Al di là degli aumenti del contratto vero e proprio, le richieste dei camici bianchi ruotano intorno a cinque punti principali. E precisamente: l’estensione al settore pubblico del welfare aziendale; la defiscalizzazione del salario di produttività anche per la sanità; il recupero (dalle regioni) delle risorse derivanti dalla riduzione delle strutture semplici e complesse per premiare e valorizzare i meriti professionali, che sono incamerate dalle regioni; lo sblocco della retribuzione individuale di anzianità. E poi un tasto dolente per l’esercito dei senza lavoro e senza salvaguardie: la stabilizzazione dei precari, lo stop ai contratti atipici, l’aumento dell’occupazione per i neo o futuri dottori. «Con una chiusura, che ci sembra soprattutto tra le regioni, sarà impossibile fare un contratto. Questo dev’essere chiaro», conclude Palermo. Una risposta ora dovrà darla la manovra 2017, dove per sbloccare le risorse necessarie bastano pochi emendamenti. «A costo zero per lo Stato», giurano i sindacati.
Roberto Turno – Il Sole 24 Ore – 1 dicembre 2016