L’appuntamento, per ora, è confermato. Mercoledì i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil incontreranno Marianna Madia, ministro della Pubblica amministrazione, per tentare di chiudere l’intesa sui rinnovi contrattuali dei dipendenti pubblici. Un’intesa a cui la settimana scorsa governo e confederazioni erano andati molto vicina, ma sulla quale pesa ora anche l’incognita della sentenza della Corte costituzionale sulla complessiva riforma della Pa.
È stata proprio Madia, in un’intervista al Corriere della Sera, a ipotizzare che quegli aumenti ormai quasi definiti, 85 euro lordi al mese, possano saltare insieme ai decreti dichiarati incostituzionali dai giudici della Consulta. La ministra teme che il venir meno delle sicurezze sul decreto sul pubblico impiego (che l’esecutivo dovrebbe approvare entro febbraio) si rifletta sulla parte normativa dei contratti. La quale a sua volta non potrebbe essere scissa dalla parte economica.
Una tesi non condivisa dalle parti sindacali ed in particolare dalla Cisl «Abbiamo letto con attenzione la sentenza – afferma il segretario confederale Maurizio Bernava – è scritto in modo esplicito che il riferimento ai decreti legislativi che disciplinano i rapporti di lavoro riguarda il reclutamento del personale ed i concorsi pubblici. Non gli aspetti legati a contratti di lavoro, retribuzioni e relazioni sindacali». Per il responsabile Settori Pubblici della Cgil Michele Gentile «i contratti nazionali di lavoro si fanno su specifici atti di indirizzo» e in ogni caso «non serve l’unanimità delle Regioni».
LA REGIONE VENETO Anche il presidente della Regione Veneto Zaia, ovvero colui che ha promosso la causa che ha portato al giudizio della Consulta, e Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia alla Camera nonché ex ministro della Funzione pubblica, contestano che le conseguenze della sentenza siano quelle paventate dal governo. «Non abbiamo mai cercato la rissa, ma soltanto di difendere l’autonomia della Regione» ha detto Zaia.
E ora cosa accadrà? Al tavolo i tre segretari Camusso, Furlan e Barbagallo si sarebbero avrebbero dovuto dirimere gli ultimi nodi, che riguardano l’inclusione nell’intesa del settore scuola nell’intesa e la precisa definizione dell’importo dell’aumento retributivo: i sindacati vogliono che gli 85 euro siano l’importo minimo riconosciuto a tutti i dipendenti e non un valore medio. In qualche modo anche la positiva conclusione della trattativa sul rinnovo del contratto dei metalmeccanici (che per la prima volta dopo anni ha visto un accordo unitario, con la piena partecipazione della Fiom-Cgil) potrebbe contribuire a creare un clima e dunque a spingere per l’accordo. La palla è sostanzialmente al governo, che potrebbe cercare comunque di stringere all’immediata vigilia del referendum o al contrario lasciare che gli italiani (dipendenti pubblici compresi) vadano a votare con questa partita in sospeso.
28 novembre 2016 – Il Messaggero