Sorpresi a fare shopping per le vie del centro, in visite mediche, dediti a lavoretti di giardinaggio o semplicemente a casa. Seimila e ottocento ore di pedinamenti e videoregistrazioni della Guardia di Finanza. Poi per 29 dipendenti assenteisti del Libero consorzio comunale di Siracusa è scattato il reato di truffa aggravata.
I colleghi passavano il badge per attestarne la presenza, ad inizio e fine turno. Nessuno controllava. «Assenteismo, 29 dipendenti colti sul fatto a Siracusa. Si applica la riforma della Pa: licenziamento rapido a tutela di tutti i dipendenti onesti», twittava la ministra Madia. Era il 7 settembre, la legge sui furbetti del cartellino fresca di stampa, entrata in vigore il 13 luglio.
E ora? Cosa succede dopo che la Consulta venerdì ha bocciato, dichiarandone l’incostituzionalità, quattro articoli di quella riforma? Il furbetto licenziato può fare ricorso, vincerlo e tornare al suo posto. Perché lo tsunami della sentenza 251 della Corte Costituzionale ha travolto pure il decreto legislativo 116 del 2016, diventato legge. Quello che prevede la sospensione in 48 ore del dipendente pubblico colto in flagrante, il taglio immediato dell’indennità e il licenziamento sprint entro 30 giorni. Insomma, è incostituzionale come la legge madre da cui deriva (la legge delega della riforma Madia). «Certo, deve essere un giudice a dichiararne l’illegittimità o l’amministrazione ad adeguarsi. Nel frattempo però il decreto va rispettato », spiega Massimo Luciani, docente di diritto costituzionale alla Sapienza di Roma. Questo significa che se il dirigente scopre il furbetto deve denunciarlo, per non rischiare a sua volta il licenziamento. Anche se la legge che lo prevede è incostituzionale.
Uscire da questo paradosso non sarà facile. Con la sentenza di giovedì ben 6 decreti della Madia sono venuti giù come birilli. Quello sulla dirigenza e l’altro sui servizi pubblici locali (approvati in Consiglio dei ministri giovedì 24 novembre) sono stati ritirati dal governo e vanno rifatti da capo. Il Testo unico sul pubblico impiego non è stato ancora scritto (e c’è tempo, sulla carta, fino a febbraio). Gli ultimi tre, già legge dello Stato, son come sospesi: società partecipate, dirigenti sanitari e appunto furbetti del cartellino. Il governo avrebbe due strade, in attesa di correggerli sulla base dell’intesa (e non del mero parere, come vuole la Consulta) con le Regioni: revocarli e dunque annullarli oppure sospenderne l’applicazione. Quantomeno per evitare la pioggia di ricorsi che inevitabilmente ci sarà. E togliere così dall’incertezza dirigenti e amministratori.
Con la nuova Costituzione tutto questo non sarebbe successo? Il premier Renzi ne è convinto. Non tutti però la pensano così. «Il nuovo articolo 117 elimina le materie concorrenti, ma non quelle residuali», spiega Luciani. Se il 4 dicembre vincesse il sì, avremo dunque le materie di competenza dello Stato, quelle delle Regioni e le residuali: tutto ciò che non fa il centro, lo fanno le Regioni. Esattamente come ora. «E l’organizzazione amministrativa delle Regioni, invocata dalla sentenza 251, è materia residuale che richiede dunque l’intesa, non il mero parere delle Regioni». La sentenza della Corte, con ogni probabilità, sarebbe stata la stessa. «C’è una novità, però: la clausola di supremazia. Se il governo la esercita, può legiferare anche in materie di competenza delle Regioni. Ma può farlo solo se sussistono esigenze di interesse nazionale». A vigilare, sempre la Consulta. Il guardiano delle leggi a cui spetta l’ultima parola.
Adesso l’esecutivo potrebbe revocare le leggi in vigore oppure decidere di sospenderle. La Consulta ha bocciato sei decreti: due ritirati dal governo, uno da scrivere e tre da rifare
Repubblica – 27 novembre 2016