Il nuovo meccanismo degli incarichi a tempo per i dirigenti pubblici potrebbe entrare in vigore solo quando sarà pronto il sistema di valutazione, che sarà scritto nel testo unico del pubblico impiego; la garanzia per gli attuali dirigenti di prima fascia, poi, potrebbe abbandonare l’idea della riserva di posti (il primo testo del decreto chiede di dedicare il 30% dei posti messi a bando a chi ha già ricoperto un ruolo di prima fascia nella stessa amministrazione) per trasformarsi in una “tutela” più generale sulla prospettiva di ottenere incarichi analoghi nel nuovo sistema.
Mentre referendum e manovra occupano in modo quasi totalitario il dibattito politico, il calendario impone di tornare sul cantiere della riforma della Pubblica amministrazione, che in settimana attende il via libera definitivo a cinque decreti attuativi: il decreto sui dirigenti, appunto, il testo unico dei servizi pubblici locali, la riforma delle Camere di commercio, il testo-bis sulla segnalazione certificata di inizio attività (Scia) e il decreto sugli enti di ricerca.
In questo pacchetto, il provvedimento che ha scaldato di più il clima del dibattito è quello sui dirigenti pubblici, che ad agosto è stato accolto con una levata di scudi dei diretti interessati ed è stato poi accompagnato da richieste di correttivi sia nel parere del Consiglio di Stato sia in quelli di Parlamento e conferenza Unificata. La riforma introduce il sistema degli incarichi a tempo (quattro anni rinnovabili per altri due) a cui potrà concorrere chi sarà inserito nei ruoli unici per Pa centrale, regioni ed enti locali. Il punto più delicato è quello dei parametri a cui ancorare le decisioni sull’assegnazione e sul rinnovo dell’incarico, perché nel testo approvato in prima lettura ad agosto non ha trovato spazio il nuovo sistema di valutazione a cui avevano lavorato i tecnici del governo. Per evitare i problemi di legittimità ipotizzati dal Consiglio di Stato e dai pareri parlamentari, che rischierebbero quanto meno di provocare una valanga di contenziosi sulle scelte delle amministrazioni, è probabile che nella sua versione definitiva preveda un calendario di avvio più “disteso”: il ruolo unico per la Pa centrale dovrebbe debuttare davvero solo con l’entrata in vigore del nuovo sistema di valutazione, quindi non prima di maggio-giugno quando dovrà arrivare al traguardo definitivo la riforma del Pubblico impiego, mentre per Regioni ed enti locali servirà l’intesa in conferenza. Novità sono in arrivo anche su un altro dei temi caldissimi del decreto, cioè le garanzie iniziali agli attuali dirigenti di prima fascia: dalle «condizioni» poste dal Parlamento nel parere viene l’indicazione di «valorizzare adeguatamente le professionalità» maturate da chi oggi occupa gli scalini più alti delle gerarchie ministeriali, e questo potrebbe portare nel testo una garanzia più generale rispetto a quella fissata con la riserva del 30% dei nuovi incarichi fino a esaurimento della qualifica attuale. La scelta definitiva sui correttivi, che dovrebbero contemplare anche il fondo perequativo per finanziare lo stipendio base dei dirigenti che rimangono senza incarico negli enti territoriali, sarà comunque presa direttamente in consiglio dei ministri perché il tema intreccia scelte politiche più che tecniche. Dal risultato di queste valutazioni dipenderà l’esigenza di un eventuale terzo (e rapido) passaggio parlamentare, perché l’elenco delle «condizioni» parlamentari è sterminato (sono 21 i correttivi giudicati “indispensabili” dalle commissioni) e qualcuno potrebbe rimanere fuori. È poi da ricordare che sul capitolo dirigenza, come sugli altri temi chiave della delega, pende ancora alla Consulta un ricorso promosso dal Veneto che contesta invasioni di campo sull’autonomia regionale.
Alle camere è dovuto tornare anche il decreto sulle Camere di commercio, creando qualche mal di pancia nella maggioranza sul tema delle tutele degli esuberi che si determineranno con la riduzione degli enti da 105 a 60 e i piani di razionalizzazione. Alla loro ricollocazione è al momento destinato il 10% delle assunzioni nella Pa centrale, ma il testo definitivo potrebbe prevedere la possibilità di allargare la percentuale se questa quota, accompagnata dallo scivolo triennale con il 60% dello stipendio (voci variabili escluse), dovesse rivelarsi insufficiente.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 22 novembre 2016