La Brexit può mettere fine alla “fuga dei cervelli”, riportando in Italia gli studiosi del nostro paese che oggi insegnano e fanno ricerca in Gran Bretagna. E’ il messaggio che l’associazione dei docenti universitari italiani nel Regno Unito manda al premier Matteo Renzi in una “lettera aperta”: con un apprezzamento per la recente proposta da parte del nostro governo delle “cattedre Natta”, tentativo di creare uno spazio per gli accademici interessati a rientrare in patria, ma anche un’esortazione a una più ampia riforma. Senza la quale i “cervelli” non potranno smettere di fuggire.
Considerato il secondo paese al mondo dopo gli Stati Uniti nel campo dell’eccellenza universitaria, il Regno Unito ha circa 5 mila professori italiani, secondo una stima del Times Higher Education. Una ricerca dell’ambasciata d’Italia presso le 150 più importanti università britanniche li suddivide così: il 50 per cento insegna nelle facoltà di scienze sociali e materia umanistiche (economia, business, scienze politiche, giurisprudenza, lettere, storia e filosofia), il 25 per cento in ingegneria, fisica e chimica, un altro 25 per cento in medicina, biologia e scienze naturali. Per la maggior parte sono dipendenti delle università del Russell Group, come Oxford, Cambridge, University College London (Ucl), Imperial, King’s College, London School of Economics, Queen Mary). «C’è un grande numero di italiani che hanno successo negli ambienti accademici più prestigiosi di questo paese e dunque del pianeta, segno che la preparazione di base ricevuta in Italia è molto buona», commenta il professor Roberto Di Lauro, addetto scientifico della nostra ambasciata a Londra. E i docenti italiani sono la comunità accademica non britannica più numerosa dopo quella tedesca, un altro segno di quanto siano riusciti ad affermarsi.
Ma ora temono le conseguenze della Brexit. «Caro Presidente Renzi», comincia la lettera dell’Association of Italian Scientists in Uk (Aisuk), l’associazione degli scienziati italiani in Gran Bretagna, «l’intenzione del Regno Unito di abbandonare l’Unione Europea potrà avere effetti gravi per l’accademia e il settore della ricerca scientifica». La Ue è stata una straordinaria fonte di finanziamento per la ricerca, a cominciare dalle borse di studio dell’European Research Council, continua la lettera, e non è detto che il governo britannico fornirà un analogo sostegno. Inoltre una politica tesa a ridurre l’immigrazione può ridurre l’afflusso di ricercatori e studenti. La Brexit, tuttavia, «può rappresentare un’occasione d’oro per l’Italia», affermano i nostri docenti all’estero, se ci sarà il coraggio di fare riforme radicali. La creazione delle cattedre Natta, l’accento messo sulla meritocrazia e l’accettazione del principio per cui chi è più bravo guadagna di più («come in una squadra di calcio», spiega il professor Antonio Guarino, docente di economia alla Ucl e presidente dell’Aisuk), sono da elogiare, ma non bastano. La lettera cita la necessità di una riforma complessiva del sistema universitario italiano. In Gran Bretagna, per esempio, i centri di ricerca ottengono finanziamenti in base ai risultati scientifici prodotti, un incentivo alle università a competere per i ricercatori migliori. Se gli inglesi vogliono chiudersi nella loro isola, insomma, alle condizioni giuste gli studiosi italiani potrebbero tornare a casa. La Brexit potrebbe darci una mano a fermare la fuga dei cervelli.
Repubblica – 11 novembre 2016