Potrebbero arrivare già venerdì i pareri parlamentari sul decreto di riforma dei dirigenti pubblici, e scrivere l’ultimo tassello di un testo che sembra destinato a cambiare profondamente rispetto alla prima versione varata ad agosto. In arrivo per il passaggio finale in consiglio dei ministri ci sono anche il decreto di riforma delle Camere di commercio, che potrebbe arrivare tra oggi e domani sui tavoli del governo dove si deciderà sull’uscita degli enti dalla spending review chiesta dal Parlamento, e quello sui servizi pubblici locali, che escluderà dalla riforma il settore idrico e dovrebbe perdere ogni limitazione aggiuntiva agli affidamenti diretti come chiesto dai pareri parlamentari, e quello sulla Scia 2 su cui si è acceso il dibattito per la possibilità che i Comuni tornino a intervenire nel merito delle licenze commerciali, per esempio limitando le tipologie di esercizi nei centri storici.
I parlamentari, in linea con le indicazioni arrivate nel parere pesante del Consiglio di Stato, chiederanno prima di tutto, come condizione per il via libera, che la riforma entri in vigore solo quando sarà pronto il nuovo sistema di valutazione dei dirigenti, che dovrebbe vedere la luce nel testo unico del pubblico impiego. L’accoppiata servirebbe a non rendere troppo aleatorio il sistema degli incarichi e soprattutto le scelte della politica sul loro mancato rinnovo. Sembra destinata a salire anche la quota riservata degli incarichi dirigenziali generali, ora al 30%, per gli attuali dirigenti di prima fascia dei ministeri, e sono in via di accoglimento le richieste di regioni ed enti locali sul fondo nazionale per pagare lo stipendio base ai dirigenti senza incarico e sulla maggiore voce in capitolo da destinare alle autonomie nella scelta dei loro dirigenti.
Quello che arriverà all’approvazione finale entro il 27 novembre, insomma, sarà con ogni probabilità un testo profondamente mutato rispetto alla prima versione di agosto, che aveva sollevato la rivolta degli attuali dirigenti pubblici. L’opposizione dei diretti interessati continua a essere accesissima, come mostra l’audizione dei giorni scorsi in cui i dirigenti riuniti nel «Comitato nazionale per la difesa degli articoli 97 e 98 della Costituzione» hanno chiesto al Senato di bloccare del tutto il percorso di un decreto che giudicano incostituzionale e inemendabile senza correggere anche la legge delega. Le questioni tecniche aperte sono molte, ma il punto nodale riguarda i rapporti fra politica e dirigenza che potrebbero scaturire dalla riforma. Il meccanismo degli incarichi a tempo, di quattro anni rinnovabili per altri due, non poggia per ora su un sistema definito di valutazione dei risultati dirigenziali, perché in extremis il tema è stato rinviato al testo unico del pubblico impiego che secondo il calendario della riforma dovrebbe essere approvato in prima lettura entro febbraio. Così però, come ha sottolineato il Consiglio di Stato, si costruisce un’architettura a metà, che rischia di far dipendere la sorte dei dirigenti più dalla fedeltà alla politica che dai risultati raggiunti sul campo.
Spinose sono anche le questioni economiche, perché la riforma non può creare nuovi costi ma il sistema degli incarichi prevede che i dirigenti rimasti senza posto continuino a ricevere lo stipendio base, cioè privato delle voci accessorie, anche se con tagli progressivi quando si allunga il tempo di “parcheggio”. Questa voce resterebbe a carico dell’ultima amministrazione di appartenenza del dirigente, con il risultato che questa dovrebbe pagare sia il dirigente nuovo sia quello vecchio: soprattutto negli enti locali, questa moltiplicazione dei costi toglierebbe spazi assunzionali e spingerebbe molti a sforare i tetti della spesa di personale per pagare peraltro persone che non lavorano nell’ente. Il Parlamento chiederà di conseguenza di istituire il fondo nazionale per pagare i dirigenti senza incarico, come chiesto dalla conferenza Unificata e come già accade oggi per i segretari comunali in disponibilità. Nel nuovo sistema, i segretari saranno sostituiti dai «dirigenti apicali», e i pareri parlamentari chiederanno di escluderli dagli organici, per evitare l’impasse negli enti più piccoli. Più in generale, sembra destinata a cadere la previsione che subordina all’autorizzazione di Ragioneria generale e Funzione pubblica sui posti dirigenziali da bandire: la soluzione potrebbe passare dall’attribuzione alla Conferenza unificata di un ruolo di primo piano nella gestione di tutto il sistema dirigenziale di regioni ed enti locali. In punta di diritto le condizioni parlamentari e le indicazioni di Consiglio di Stato e Conferenza unificata non sono vincolanti, e per esempio nel testo unico delle partecipate il governo ha deciso di non accogliere tutte le condizioni poste dalle commissioni tornando in Parlamento a spiegare la scelta. Sul piano politico, però, questa strada appare decisamente in salita, oltre che a rischio di sforare la scadenza del 27 novembre per l’ultimo via libera al decreto, ma del resto dalla Funzione pubblica è già filtrata la disponibilità a rimettere mano ai punti più controversi.
Gianni Trovati – Il Sole 24 Ore – 8 novembre 2016