L’anticipo volontario per la pensione (Ape) potrà costare fino a un massimo del 5,5% medio annuo sull’assegno futuro sotto forma di rata mensile. Un rateo che servirà per rimborsare in 20 anni le banche erogatrici dei trasferimenti assicurati via Inps. A utilizzare l’Ape potrebbe essere una platea potenziale di 300mila lavoratori dipendenti e autonomi “over 63” nel 2017 e di altri 115mila nel 2018.
La nuova “no tax area” invece garantirà un beneficio medio annuale di 45 euro a quasi 5,9 milioni di pensionati, con una punta di 74 euro annui per chi è compreso nella classe di reddito da pensione tra i 7.750 e i 15mila euro. Questo allargamento del bacino peserà poco meno di 300 milioni sui saldi, mentre un’estensione della detrazione da lavoro a tutti i pensionati avrebbe fatto salire i costi a 1,9 miliardi. Almeno secondo quanto emerge dalle slides che il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Tommaso Nannicini, ha pubblicato ieri per illustrare i contenuti del “pacchetto previdenza” contenuto nella manovra all’esame della Camera.
Il dossier del team di economisti di palazzo Chigi guidato dal giovane professore della Bocconi fornisce cifre e anche spiegazioni di fronte ad alcune delle critiche mosse alle misure del Governo, a cominciare da quelle sull’Anticipo pensionistico scaturite dal verbale d’intesa che è stato siglato con i sindacati alla fine di settembre. A questo proposito Nannicini precisa subito che il Governo ha optato per l’Ape «per aumentare la flessibilità nelle scelte individuali per i lavoratori che accedono alla pensione di vecchiaia» e «per agevolare la transizione per le persone che sono disoccupate o in condizione di bisogno». Nessun regalo alle banche, dunque: «Senza il coinvolgimento degli istituti bancari, la flessibilità in uscita avrebbe avuto un costo di 7-10 miliardi l’anno» si sottolinea nel dossier; quasi una risposta indiretta alle critiche giunte la settimana scorsa dal presidente dell’Inps.
Non manca un focus sull’impatto sui conti dell’intero pacchetto previdenziale del Ddl di Bilancio. La spesa complessiva sarà di 6,8 miliardi tra il 2017 e il 2019 ma poi salirà fino a raggiungere cumulativamente i 24,3 miliardi nel 2026.
Tornando all’Ape, il team di economisti di Palazzo Chigi spiega alcune delle scelte fatte dal Governo. A partire dalla stipula di una polizza assicurativa necessaria per garantire chi accede al prestito e l’istituto che eroga il finanziamento in caso di premorienza (tenendo bassi i tassi d’interesse) e comunque «con un costo agevolato (metà del premio è a carico dello Stato), grazie a una detrazione fiscale». Per quanto riguarda la scelta di soli 11 lavori gravosi per l’accesso all’Ape social (quella a costo zero), si ribadisce che le categorie sono state individuate «in base a studi su rischi e stress correlati al lavoro», realizzati anche usando i data base Inail, e che «altre categorie trovano risposta nel pacchetto sui lavori usuranti». E si sottolinea che «il meccanismo è sperimentale: ministero del Lavoro, Istat e Inail faranno studi approfonditi per individuare meccanismi strutturali che tengono conto di rischiosità lavori ed eterogeneità della speranza di vita (“fase 2” del confronto con i sindacati)».
Sul versante delle simulazioni, il costo del 5,5% medio annuo per l’anticipo pensionistico volontario è parametrato sulla richiesta di un’Ape al 100% delle pensione certificata mensile, essendo in possesso di almeno 20 anni di contributi. Con un’Ape volontaria dell’85% sulla pensione piena futura il costo medio sarà, come è noto, del 4,6-4,7% l’anno, partendo da un minimo de 2%. Nel calcolo occorre tenere conto che la pensione mensile netta viene erogata per 13 mesi mentre il prestito bancario legato all’Ape si sviluppa su 12 mesi.
Le ipotesi finanziarie di base su cui sono state elaborate le simulazioni riportate nelle slides includono un Tan al 2,5% e un premio assicurativo del 29% del capitale. È anche prevista una detrazione fiscale del 50% della quota di interessi e del premio. In sostanza in presenza di una pensione netta certificata dall’Inps di 1.286 euro al mese per 13 mesi (da una lorda di 1.615 euro) e di una richiesta per l’Ape dell’85% della pensione netta mensile per tre anni (1.093 euro al mese), secondo i calcoli di palazzo Chigi la rata, una volta raggiunta la pensione di vecchiaia, sarebbe di 258 euro al mese ma scenderebbe a 208 grazie alle agevolazioni fiscali. La rata all’inizio della restituzione è più alta (circa 5,4% dell’assegno) per poi scendere con il passare degli anni (4,1% al termine della restituzione) con l’aumento della pensione. Dal momento in cui si accede alla pensione di vecchiaia per tutti i 20 anni di restituzione del prestito si avrebbe una pensione netta, meno rate e detrazioni, di 1.078 euro al mese.
Confermato il costo zero per l’Ape social, almeno fino a un reddito pensionistico di 1.500 euro. Il mix Ape più Rita per anticipare l’uscita di 3 anni, con un Anticipo pensionistico del 49% della pensione netta e una rendita integrativa anticipata al 100% del capitale cumulato con 10 anni di versamenti ai fondi integrativi (equivalente al 51% netta), produrrebbe un costo medio del 2,7% l’anno tenendo conto delle agevolazioni fiscali (detrazione del 50% di quota interessi e premio e imposta sostitutiva tra il 9 e il 15%).
Nelle slides non manca una contabilità dell’ottava salvaguardia, con la quale la spesa cumulata nel triennio scenderebbe a 6,4 miliardi grazie ai definanziamenti attivati per la chiusura del “fondo esodati”.
IL Sole 24 Ore – 6 novembre 2016