di Isabella Fantigrossi. L a guerra dell’olio di palma continua. Sull’argomento pensavamo di sapere tutto. Demonizzato perché conterrebbe troppi grassi saturi. Incriminato perché un recente studio dell’Efsa, l’autorità europea per la sicurezza alimentare, aveva segnalato che a temperature elevate può sviluppare sostanze tossiche.
E, infine, messo sul banco degli imputati perché la sua produzione intensiva nuoce all’ambiente. L’effetto? Di fronte all’inevitabile paura dei consumatori, molte aziende hanno cominciato a sostituire con altri ingredienti l’olio di palma, utilizzato nelle preparazioni industriali per la sua resistenza all’ossidazione e perché migliora la consistenza e la durata dei cibi. Ora, invece, l’ultimo atto. Scritto proprio da quell’azienda, Ferrero, contro la quale poco più di un anno fa si era scagliata Ségolène Royal, invitando a non mangiare più Nutella (poi, però, il ministro francese dell’Ecologia si era scusata via Twitter).
Il gruppo di Alba ha dichiarato ieri, durante un convegno che ha organizzato sul tema al quale hanno partecipato esperti e anche Greenpeace Italia, di voler continuare a utilizzare l’olio di palma. Insomma, la ricetta della crema alla nocciola non cambierà affatto. «Pensiamo che il nostro olio di palma sia un ingrediente di qualità — ha detto Alessandro d’Este, amministratore delegato Ferrero commerciale Italia —, controllato in tutta la filiera e prodotto in modo sostenibile. Il giorno in cui penseremo il contrario, ritireremo i nostri prodotti dagli scaffali». Ora, però, si riapre il dibattito. Il consumatore medio sarà sempre più disorientato. Alla fine ci si chiede: l’olio di palma fa male oppure no? È davvero nocivo per l’ambiente oppure no?
Gli ultimi studi citati al convegno consiglierebbero prudenza prima di continuare la crociata contro l’ingrediente. Lo stesso viceministro dell’Agricoltura Andrea Olivero, che è intervenuto ai lavori, ha detto: «Dobbiamo evitare il terrorismo alimentare e la sostituzione dei prodotti ricchi a livello nutrizionale con quelli scadenti nella falsa idea che siano più sani». E ancora: «A oggi — ha spiegato Elena Fattore, ricercatrice dell’Istituto Mario Negri di Milano — non è stata confermata l’associazione, e quindi neanche una correlazione, tra l’assunzione di acidi grassi saturi e un maggior rischio di malattie cardiovascolari. La campagna denigratoria sull’olio di palma, basata sul fatto che quest’olio contiene una percentuale maggiore di acidi grassi saturi rispetto ad altri oli vegetali, non ha alcun riscontro nell’evidenza scientifica».
Resta valida la regola del buon senso, cioè quella che raccomanda in generale di non assumere più del 10 per cento delle calorie giornaliere in grassi saturi. Non solo. «Qualsiasi alimento trasformato può contenere contaminanti di processo — ha ricordato Marco Silano dell’Istituto Superiore di Sanità —, cioè sostanze, quelle di cui ha parlato l’Efsa, che si formano eventualmente durante la lavorazione». Insomma, l’olio di palma di per sé — si è detto al convegno — non sarebbe tossico. «Ciò che è importante è considerare ciascun elemento in una dieta complessivamente equilibrata e garantire una trasformazione corretta e sostenibile dell’ingrediente».
Punto sul quale alcune associazioni ambientaliste stanno lavorando. «A causa dell’espansione indiscriminata di piantagioni di palma e cellulosa — attacca Chiara Campione di Greenpeace —, l’Indonesia dal 1990 al 2014 ha perso una superficie di foreste ampia quanto il territorio della Germania. Inoltre, per la coltivazione e la produzione di olio di palma si emette moltissima anidride carbonica. D’altra parte, però, boicottare un intero settore importante per il Sud-Est asiatico è sbagliato». Come fare perciò? Dal 2013 Greenpeace ha promosso il Palm Oil Innovations Group (Poig), a cui hanno aderito marchi e organizzazioni come il Wwf, per provare a spezzare il legame tra produzione dell’olio, deforestazione e negazione dei diritti dei lavoratori. Al Poig nel 2015 ha aderito anche Ferrero, che già segnala di utilizzare soltanto olio certificato Rspo (Roundtable on Sustainable Palm Oil) e di rispettare un proprio decalogo. In base alla carta l’azienda garantisce, per esempio, che i suoi fornitori non disboschino foreste, proteggano specie a rischio e rispettino i diritti umani. «Produrre olio sostenibile — conclude Campione — purtroppo non è ancora un trend mondiale. Ma è possibile. E questa è la strada da seguire».
Il Corriere della Sera – 28 ottobre 2016