Il nostro governo è impegnato con la Ue per ottenere qualche margine nella ricostruzione di Amatrice. Ma le ultime scosse dimostrano che il problema è strutturale. C’è bisogno di un grande piano di prevenzione, piaccia o no a Bruxelles
I terremoti in Italia sono diventati una frequente emergenza nazionale. In un Paese dove la maggior parte delle case è stata costruita prima del 1980, con criteri che non tenevano minimamente in considerazione il rischio sismico, i crolli degli edifici sono i principali forieri di morte.
Abbiamo assistito basiti ai crolli dell’Aquila nel 2009, alla devastazione in Emilia nel 2012, all’annullamento di paesini-presepi dei nostri appennini come Amatrice e adesso alla devastazione tra Marche e Umbria. Di nuovo: decine di famiglie fisicamente ed economicamente distrutte.
«Anziché fare prevenzione noi ci accontentiamo di gestire l’emergenza», dice frustrato il sismologo Massimo Cocco. «Per molti anni l’unica politica industriale del Paese sono state le detrazioni fiscali legate alle iniziative di intervento privato per la riqualificazione degli edifici», sottolinea Luca Dondi, economista responsabile della ricerca del settore real-estate dell’Istituto di ricerca Nomisma. Ma i soldi sono parzialmente recuperati solo con una rateizzazione della quota in deducibilità fiscale su dieci anni e, soprattutto, l’esborso complessivo iniziale resta a carico del singolo. In un momento di depressione economica.
Nelle ultime settimane si è assistito a un ping pong tra Roma e Bruxelles sulla flessibilità dei conti in relazione alle spese da sostenere per quanto avvenuto ad Amatrice e dintorni. Ma la continuità con cui i terremoti colpiscono il nostro Paese dimostrano che la questione deve essere allargata per una riqualificazione in chiave antisismica dei principali edifici pubblici situati in zone ad alto rischio.
Non solo il governo lancerebbe finalmente un piano nazionale infrastrutturale che in futuro potrebbe salvare la vita a migliaia di persone ma, nel farlo, genererebbe un volano prezioso di occupazione e sviluppo economico. «In effetti il settore edilizio, ancora oggi in crisi, ha la capacità di moltiplicare l’occupazione», sottolinea Carlo Altomonte, docente di economia politica all’università Bocconi: «Sarebbero soldi destinati a investimenti pubblici che potrebbero seguire la stessa procedura pensata per il progetto di estensione della banda larga».
È stato d’altra parte lo stesso Renzi a sottolineare recentemente a Bari che «i primi a pagare le conseguenze del fiscal compact furono gli amministratori locali che, messi al bivio tra tagliare servizi e investimenti, tagliavano gli investimenti, con un danno pazzesco per la nostra economia. Spendevamo 40 miliardi all’anno di investimenti e siamo passati a venti miliardi:?una diminuzione devastante».
A concordare con la necessità di un intervento di spesa pubblica nazionale sono in tanti. Da tempo. «Non mi capacito del perché non si fece in Emilia Romagna, al tempo in cui era premier Mario Monti. Ci trovavamo nella stessa esigenza di flessibilità di adesso, anzi peggio perché eravamo in recessione», sottolinea un economista della compagine governativa.
Questa sarebbe l’occasione buona. Anche perché i terremoti in Italia non spariranno, come del resto vediamo ogni giorno.. Tra il 1620 e il 1790 la penisola fu soggetta a devastazioni continue di 6 e anche 7 gradi di magnitudo che, tra i tanti luoghi, colpirono anche Amatrice e Accumoli. Poi scosse meno importanti per circa 200 anni. E adesso ci risiamo. «Il governo dovrebbe mettere in sicurezza almeno ospedali e scuole», continua Cocco, «e i cittadini capire che se abitano in zone ad alto rischio sismico devono mettere in sicurezza la propria casa, sebbene farlo sia costoso». E magari il piano governativo potrebbe anche potenziare gli eco-bonus in chiave antisismica, chiosa il sismologo Enzo Boschi.
La mappatura del diverso grado di pericolosità sismica delle varie regioni italiane è pronta dal 2004. Con tanto di eliminazione della categoria 4 che avrebbe permesso la costruzione senza l’utilizzo di norme antisismiche come avveniva in passato. E non più. Perché tutto il Paese è a rischio terremoti. E deve imparare a conviverci. Puntando, finalmente, sulle opere di prevenzione.
L’Espresso – 27 ottobre 2016