Roberto Giovannini. E anche quota 400 è stata superata. Prima della rivoluzione industriale nell’atmosfera in media c’erano solo 278 parti per milione di anidride carbonica. Secondo gli scienziati, si sarebbe riusciti ad evitare un serio riscaldamento del nostro clima solo restando sotto quota 350 ppm. Nel 2015 in media – fa sapere la Wmo, l’agenzia meteorologica delle Nazioni Unite – per la prima volta si è superata la soglia delle 400 parti per milione.
Nel 2016 andrà anche peggio, anticipano gli scienziati; e quasi certamente non scenderemo sotto quota 400 «per molte generazioni», afferma il segretario generale del Wmo Petteri Taalas, secondo cui i dati del 2015 «annunciano una nuova realtà climatica».
Che la situazione sia molto rischiosa lo sappiamo: il 97% degli scienziati concordano sulle cause antropogeniche del riscaldamento globale. Siamo noi, guidando, viaggiando e consumando e producendo a scaricare CO2 nell’aria; e saremo noi (e i nostri discendenti) a subirne inevitabilmente le conseguenze. Che la temperatura aumenti è indiscutibile: il 2014 è stato l’anno più caldo (in media) di sempre, il 2015 lo ha battuto, e il 2016 secondo gli scienziati batterà il record per il terzo anni consecutivo.
Possiamo fare qualcosa? Possiamo limitare i danni, se ci daremo molto da fare. Ma bisogna accelerare, moltiplicare gli sforzi. Come spiegano gli scienziati, anche applicare alla lettere le intesa raggiunte alla Cop di Parigi non basterebbe per fermare l’aumento della temperatura (e i disastri climatici connessi) sotto i due gradi. Occorre che ciascuno di noi, individualmente, e come Italia, comprenda che non c’è spazio per furbizie e trucchi (vero, governo?) se non vogliamo che letteralmente il cielo cada sopra le nostre teste.
Per fortuna, tra tante notizie preoccupanti ce ne sono alcune che fanno ben sperare. A Kigali si è raggiunto un accordo per eliminare l’uso di gas pericolosi come gli Hfc. Un accordo (insufficiente) è stato firmato per limitare le emissioni dell’aviazione, presto ne arriverà uno (speriamo migliore) per quelle delle navi. Si riduce (ma non abbastanza in fretta) il ricorso alle fonti fossili, cresce (in modo rapidissimo, ma non abbastanza in fretta) l’uso delle rinnovabili. L’innovazione green si diffonde; ma, manco a dirlo, bisogna fare presto. Tempo non ce n’è.
La Stampa – 25 ottobre 2016