Elena Dusi. L’organizzazione mondiale per la sanità ha per la prima volta un candidato italiano per la leadership. È Flavia Bustreo, medico, epidemiologa, 55 anni, originaria di Camposampiero, in provincia di Padova. Poi, ha passato a Sarajevo l’inverno del 1992. «Da lì la mia vita ha cambiato corso», dice. Oggi vive a Ginevra, è vicedirettore dell’Oms per la Salute della Famiglia, delle Donne e dei Bambini, e a maggio dell’anno prossimo potrebbe essere scelta – fra altri cinque candidati – come direttrice dell’Organizzazione.
Ma è dal passato che preferisce partire per raccontarsi. «A Sarajevo ero andata come volontaria per i Beati costruttori di pace – racconta – ho visto bambini morire per mancanza di farmaci. Più tardi, a Baghdad dopo la prima guerra del Golfo, ho incrociato occhi simili, di piccoli malati di leucemia lasciati semplicemente morire per mancanza di medicine. Venivo da Padova, dove ai loro coetanei venivano applicati i protocolli di cura più aggiornati. Ho deciso che avrei dedicato la mia vita a combattere questa ingiustizia».
All’Oms, passando dai ricordi ai progetti per il futuro, Flavia Bustreo cercherà di portare «quello che è il pilastro della sanità italiana, scritto nella Costituzione: il diritto alla salute deve essere riconosciuto a tutti». Una delle più grandi soddisfazioni, da quando è a Ginevra, è nel 2000 l’avvio del programma di salute per la famiglia che prevede l’assistenza pediatrica per ogni bambino. «Nel nostro paese c’è uno dei tassi di mortalità materno- infantile più bassi al mondo – spiega – ma altri paesi devono lavorare ancora molto per questo».
Temi al centro dell’attualità, come natalità e migranti, sono il pane quotidiano del lavoro di Bustreo. Per lei, che è abituata ad avere il mondo come orizzonte, e non le frontiere di un paese, i due argomenti sono legati naturalmente. E trovano la loro composizione l’uno nell’altro. «Prendiamo l’esempio del Canada, che ha rimediato al calo della natalità con una politica di accoglienza agli immigrati, una categoria che – almeno nella prima generazione – tende a mantenere famiglie ampie». Dopo migranti e donne, al centro del suo lavoro ci sono i bambini. Bustreo è anche vicepresidente di Gavi, l’organizzazione che cerca di portare i vaccini in tutto il mondo, in un momento in cui la parola vaccino ispira diffidenza. «Ma questo accade solo nei paesi che hanno già goduto dei benefici dei vaccini – altrove non è affatto così, anzi. Lavoriamo sodo per portare i vaccini nei paesi poveri, dove mancano anche le immunizzazioni più basilari. Raggiungere le campagne più povere o le classi sociali più disagiate resta una sfida importante».
A proposito di sfide, far virare l’Oms da un’organizzazione nata dopo la guerra per mettere a punto linee guida e direttive a un gruppo agile in grado di fronteggiare le emergenze più varie non è male come scommessa. L’ultimo esempio: l’epidemia di Ebola, l’anno scorso. «Che ha ha evidenziato la debolezza dei sistemi sanitari colpiti – reagisce -ma anche la lentezza della risposta globale, Oms inclusa. La nostra Organizzazione oggi non deve solo produrre documenti, ma anche saper gestire epidemie, conflitti, terremoti ed emergenze sanitarie». Creare una rete di sorveglianza capillare che dia subito gli allarmi e coordini le risposte è la prima soluzione cui penserebbe la possibile neo-direttrice. Certo, i progetti si scontrano con le ristrettezze finanziarie. Ma anche in questo i tempi sono cambiati, rispetto a quando l’Organizzazione è nata. «Vent’anni fa gli attori della salute globale erano gli stati e l’Oms. Oggi ci sono gli investitori privati. La Bill e Melinda Gates Foundation, la fondazione di Mark e Priscilla Zuckerberg, la Slim Foundation in Messico e tantissimi altri possono aiutarci. E l’Oms può aiutare il mondo della beneficenza privata a non muoversi in ordine sparso, in maniera scoordinata».
Repubblica – 25 ottobre 2016