La ricorrenza dei 150 anni del Plebiscito che sancì l’annessione delle province venete al Regno d’Italia (si votò il 21 e 22 ottobre 1866, secondo il Tribunale d’Appello di Venezia i «sì» furono il 99,9%) sta riaprendo in questi giorni antiche e irrisolte dispute su cosa sia «l’identità veneta» e quale valore abbia al tempo in cui viviamo, il tempo della globalizzazione in cui il confronto con «l’altro», lo straniero, sta creando lacerazioni profonde.
Un confronto storico, ma soprattutto politico, che sta registrando allunghi discutibili, come le bandiere listate a lutto nella leghistissima Cittadella, iniziative contestate, come i murales dedicati agli «Eroi del Veneto» fatti dipingere dalla Regione sulla facciata di alcune scuole (un dichiarato tributo venetista che arruola Pigafetta e Palladio ma pure il «foresto» Galileo) e ancora la diffusione di libri sulla «Grande truffa del 1866» nelle scuole e una fitta sequenza di convegni che contrappongono i fasti della Serenissima (che però cadde quasi un secolo prima del Plebiscito) ai garibaldini partiti da qui e diventati protagonisti del Risorgimento. Il tutto nell’imminenza di altri due appuntamenti referendari aspri e divisivi: quello sulla riforma costituzionale, tacciata del più protervo neocentralismo, e quello sull’autonomia, che porterà i veneti alle urne su un quesito lapalissiano: «Vorreste essere come Trento e Bolzano?».
La ricerca
In questo contesto, partendo dal presupposto che l’argomento è parecchio serio, abbiamo deciso di verificare quanto è stato fatto dalla Regione per la promozione e la valorizzazione dell’identità veneta, argomento che da quasi vent’anni può contare su un assessore dedicato (il primo fu il leghista Ermanno Serrajotto, tra il 2000 e il 2005), e con quali risultati, avvalendoci di una corposa indagine realizzata dall’Osservatorio della spesa, organo indipendente del consiglio regionale, e dall’università di Padova, Dipartimento di scienze politiche, giuridiche e studi internazionali. Il gruppo di ricerca, guidato dalla professoressa di analisi e valutazione delle politiche Maria Stella Righettini, ha preso in considerazione tutte le risorse spese da Palazzo Balbi per l’identità veneta nell’arco di 10 anni, dal 2004 al 2013 (dunque presidente Galan e assessori Serrajotto, Zaia e Manzato; poi presidente Zaia e assessore Stival), sulla base di 8 diverse leggi regionali che hanno fatto da background normativo all’erogazioni di fondi cospicui. Un’indagine non semplice, stante la poliedricità del concetto totalmente empirico di «identità», come dimostra ad esempio il fatto che la ?éngua vèneta , tutelata da una di queste leggi e destinataria di oltre 2,5 milioni di euro «a protezione», secondo i dialettologi non è neppure una lingua.
Fondi milionari
Dunque nel periodo compreso tra il 2004 e il 2013 (la ricerca è stata conclusa dieci mesi fa ma non è mai stata resa nota) la Regione ha speso per l’identità veneta 60 milioni di euro (60.066.999 euro a voler essere precisi), che è certo un nonnulla se confrontato col bilancio dell’ente, mediamente attorno ai 12 miliardi l’anno ma diventa invece una voce significativa se si pensa che ha rappresentato poco meno del 30% dell’intera spesa sostenuta nello stesso arco temporale dalla Regione per la cultura (199 milioni), per di più in una fase di generale contrazione delle spese destinate a questo settore sia da parte dei Comuni (meno 26%), che delle Province (meno 42%). I progetti e le attività finanziati sono stati ben 4.835, con una curiosità evidenziata dai ricercatori: «Il 2009 e il 2011 rappresentano gli anni in cui si sono concentrate le maggiori disponibilità economiche o, in altri termini, in quegli anni è rilevabile uno sforzo maggiore alla liquidazione di progetti i cui impegni sono riferibili ad annate precedenti». E ancora: «L’elevata valenza politica dello strumento finanziario è testimoniata dall’andamento della spesa diretta: negli anni 2010 e 2011, quelli che immediatamente precedono e seguono le elezioni amministrative (poi vinte da Zaia, ndr .) la spesa subisce un’impennata per poi restare comunque su livelli più elevati rispetto a quelli effettuati dalla giunta precedente».
L’identità è soprattutto «cosa della Lega», come si evince dai nomi che si alternano alla guida dell’assessorato e dal budget assegnato dalla giunta Zaia rispetto alla giunta Galan (nel 2011 il 76% dei fondi per la cultura va all’identità): in un processo di progressiva istituzionalizzazione, «l’appello leghista all’identità», che inizialmente «coniuga il venetismo con la polemica contro i vecchi partiti», diventa sottolineatura di un’alterità rispetto allo «Stato centralista», finisce scolpito all’articolo 2 del nuovo Statuto della Regione approvato nel 2012 («La Regione salvaguarda e promuove l’identità storica del popolo e della civiltà veneta»), e arriva alle estremizzazioni indipendentistiche oggi rappresentate nell’assemblea regionale da un consigliere di maggioranza. Interessante è anche l’effetto «gemmazione» sottolineato dai ricercatori, per cui all’aumentare delle risorse in gioco proliferano sul territorio assessorati «dedicati» in Comuni e Province, quasi sempre amministrati dalla Lega («Questa linea di finanziamento – si legge – pur collocandosi tra le politiche culturali si connota per un elevato tasso di politicizzazione»).
Migliaia di progetti
Si diceva comunque della miriade di progetti. «Uno degli aspetti più interessanti delle leggi analizzate – continua il pool di studiosi – è la loro natura prettamente distributiva (in corsivo nel testo, ndr .), caratteristica di cui dovremmo tenere conto ai fini della valutazione dell’efficacia della funzione di advocacy identitaria e della sua capacità di generare effetti sul tessuto regionale. Gli studiosi di politiche pubbliche riconoscono alle politiche distributive un elevato contenuto politico». Più semplicemente: invece di finanziare in modo mirato, e con più soldi, pochi progetti ritenuti meritevoli e capaci d’incidere davvero sulla formazione dell’identità veneta, la Regione ha preferito aiutare ecumenicamente un po’ tutti, con poco. Dunque 4.835 progetti, dal Tocatì di Verona al Palio dei Mussi di Teglio, dal programma tivù «A scotadeo» delle Bronse Querte alla rivista bimestrale «Filò», passando per il Patto del cappone di Musile o la Pastoria del Borgo Furo (le rievocazioni la fanno da padrone), copioni goldoniani, cd di musiche venete, siti web, per un finanziamento che in 7 casi su 10 non è andato oltre 7 mila euro. Una «frammentazione della spesa a favore di microrealtà», così viene definita nello studio, decisa dopo la valutazione «tecnica» degli uffici e quella «qualitativa» dell’assessorato e della giunta.
Infine, l’analisi territoriale. «La mappa relativa agli ambiti provinciali – si legge nel dossier -, mostra come Treviso sia stata la Provincia che ha proposto e ha visto approvati più progetti e, di conseguenza, è la provincia che ha attratto anche i maggiori finanziamenti. […] La mappatura territoriale conferma l’ipotesi precedentemente formulata circa l’elevata politicizzazione del tema “identità veneta” rilevabile in una marcata risposta dei territori politicamente e territorialmente più prossimi (in corsivo nel testo, ndr .) alla giunta regionale: la prossimità politica (in corsivo nel testo, ndr .) si rileva in particolare nella maggiore risposta registrata nel territorio di provenienza del governatore Luca Zaia (Treviso) e dell’ex assessore con delega all’Identità Veneta Daniele Stival (Venezia)».
Marco Bonet – Il Corriere del Veneto – 23 ottobre 2016