Doveva essere l’anno della svolta. Lo stop definitivo, nelle intenzioni del governo, al fenomeno tutto italiano delle “false” partite Iva. La scorciatoia scelta da tanti datori per sottrarsi ai costi dei contratti stabili, inquadrando in una forma di attività autonoma prestazioni tipiche da lavoro dipendente. Numeri alla mano, invece, la scommessa del 2016 sembrerebbe persa, ridimensionando così gli effetti delle norme messe in campo dall’esecutivo sul fronte occupazionale, Jobs Act in primis.
Giusto un anno fa, eravamo ai primi di novembre, Giuliano Poletti annunciava in tv che nel 2016 «non sarebbero state più possibili le finte partite Iva. Nel Jobs Act – spiegava il ministro del Welfare abbiamo messo una riga forte tra lavoro autonomo e lavoro subordinato intervenendo su un’area grigia che prima era molto presente ». Il riferimento era all’abolizione totale delle collaborazioni coordinate e continuative (co.co.co) e al giro di vite sull’apertura di partite Iva fittizie attraverso la trasformazione automatica in assunzione stabile a fronte di determinate condizioni (collaborazione per almeno 8 mesi in un anno con la stessa azienda; almeno l’80% degli introiti con la stessa impresa; postazione fissa all’interno dell’azienda). Due misure che, insieme alla decontribuzione totale per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, avrebbero dovuto innescare la svolta. «C’era da attendersi che il combinato disposto del bastone e della carota – commentava Tommaso Nannicini, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, dopo la diffusione dei dati Istat che segnavano a dicembre 2015 un forte calo dei lavoratori indipendenti – favorisse la trasformazione di finte collaborazioni autonome in contratti a tempo indeterminato ». Trascorso quasi un anno, però, l’ottimismo della prima ora probabilmente andrebbe ridimensionato.
Uno studio della Uil che ha analizzato i dati dell’Osservatorio Partite Iva del ministero dell’Economia, fotografa, da un lato, la fine dell’effetto annuncio dei provvedimenti del Jobs Act e, dall’altro, l’esaurirsi della spinta degli incentivi alle assunzioni stabili dovuto al taglio della decontribuzione. Il presupposto metodologico è che, naturalmente, non esiste alcuna statistica dettagliata che distingua le “finte” partite Iva da quelle vere e che, dunque, le tendenze vanno analizzate estrapolando dal dato complessivo sia le tipologie di attività che le fasce anagrafiche più a rischio (dunque le partite Iva aperte da persone fisiche e quelle relative agli under 35). Ebbene, la ricerca evidenzia «una decrescita delle partite Iva accese da persone fisiche tra il 2012 e il 2013 (-5,5%) e tra il 2014 e il 2015 (-14,5%, con un calo del 24,45% per gli under 35), in coincidenza quindi con le ultime due riforme del mercato del lavoro, la legge Fornero e il Jobs Act». Nel primo caso, ricordiamolo, vennero introdotte “presunzioni di subordinazione” per ridurre l’utilizzo improprio delle collaborazioni (anche a partita Iva); nel secondo caso, il Jobs Act ha prefigurato una messa a punto delle regole della Fornero (dunque un ulteriore effetto annuncio) poi trasformata in realtà nell’allentamento del giro di vite a partire dal 2016. «Dal primo gennaio di quest’anno – spiega Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil – è prevista la possibilità per i “committenti” di stabilizzare anche i titolari di partita Iva, non prevedendo però alcun tipo di sanzione fiscale, contributiva o amministrativa in caso di erronea qualificazione del rapporto di lavoro. In pratica, una sanatoria tombale per coloro che hanno “assunto” con rapporti autonomi fittizi». Si aggiunga che, sempre rispetto alla stretta della Fornero, le nuove regole consentono all’azienda di evitare l’assunzione se dimostra che c’è “autonomia nell’organizzazione del lavoro” del collaboratore, definizione obiettivamente vaga.
L’insieme delle nuove norme e del venir meno di altri provvedimenti (in particolare la riduzione dell’esonero contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato) ha determinato la ripresa delle “false” partite Iva, almeno in base all’analisi della Uil: partendo dal dato più aggiornato del ministero dell’Economia (agosto 2016, con le aperture totali in crescita annua del 9,2%) e proiettandolo sulla fine dell’anno, lo studio fotografa partite Iva aperte da persone fisiche in aumento a 389.000 unità rispetto alle 369.315 del 2015 (+5,3%), e un incremento di quelle aperte dagli under 35 da 169.557 dello scorso anno a 177.837. «Per il biennio 2016-2017 è prevista inoltre una riduzione delle imposte per i titolari delle partite Iva con reddito inferiore a 30mila euro – sottolinea ancora Loy – rendendo conveniente questo strumento. Insomma, c’è un sottobosco di lavori fragili e discontinui, dove il più debole soccombe. Serve una stretta su tirocini, voucher, finte partite Iva».
Repubblica – 18 ottobre 2016