La manovra balla sulle coperture. E non solo perché il governo deve trovare all’incirca 10 miliardi, da affiancare al deficit extra. Ma perché la metà di questa cifra è legata a poste per loro natura incerte: le tasse sui capitali detenuti illegalmente all’estero (lavoluntary disclosure bis) e la lotta all’evasione. Fino all’anno passato, bastava mettere una bella clausola di salvaguardia, promettendo di far salire Iva e accise in caso di incassi mancati o carenti. E ottenere così il via libera di Bruxelles.
Da quest’anno non si può. Merito della nuova legge di bilancio che ha rotto il nodo gordiano delle clausole, vere padrone di ogni finanziaria dal 2010 in qua: buone per salvare il presente e finanziare le manovre, ipoteca sul futuro quando per disinnescarle (come succede ora per i 15 miliardi di Iva e accise) si tolgono risorse altrimenti impiegabili. Cosa succede allora? L’Europa autorizzerà davvero le coperture ballerine, senza pretendere reti di sicurezza?
IL CAPPIO
L’Europa non dovrebbe fiatare, secondo Francesco Boccia, presidente pd della commissione Bilancio della Camera e “padre” della riforma del bilancio dello Stato. «Le clausole da quest’anno sono vietate, il mostro è stato sconfitto, l’Europa dovrà riconoscerlo, nemmeno Germania e Francia ce l’hanno », spiega. Ma attenzione: «Se nel corso del prossimo anno il governo si rendesse conto che voluntary e lotta all’evasione non garantiscono quanto cifrato, si fischia il time out e le mancate entrate dovranno essere coperte dal ministero che ha previsto la spesa. Oppure si procederà con un decreto d’urgenza per aumentare le tasse o fare tagli. Ma a quel punto la parola passerà al Parlamento, sovrano di decidere come intervenire». Un meccanismo del tutto nuovo. Che però non scongiura odiosi balzelli d’emergenza. Se venissero meno, per fare un esempio, le risorse per finanziare il bonus lavoro, allora il ministro Poletti dovrebbe aprire il suo portafoglio. Oppure proporre un decreto legge, qualora non bastasse. E a quel punto benzina e sigarette, cacciate dalla finestra, rientrerebbero dalla porta.
LE USCITE
Il governo si prepara intanto a sfornare una manovra finanziaria da almeno 22-23 miliardi (la versione sintetica sarà inviata a Bruxelles entro lunedì 17 ottobre, quella definitiva in Parlamento entro il 20). La parte da leone, come detto, spetta alle clausole da spegnere: 15 miliardi per evitare gli aumenti di Iva e accise nel 2017. Per il resto, si interviene su pensioni (con Ape e quattordicesima), lavoro (taglio Ires, nuova Iri, decontribuzione solo al Sud, bonus per le aziende che assumono dopo gli stage, salario di produttività detassato), rinnovo del contratto agli statali (900 milioni in tre anni, la nuova ipotesi), aumento del fondo povertà, aiuti alle famiglie numerose, imprese (Industria 4.0, con super e iper ammortamento), bonus da rinnovare (500 euro ai diciottenni e 80 euro ai militari), forse Jobs Act degli autonomi. E poi in extra deficit le misure per migranti e terremoto (sotto la lente Ue), ivi incluso il pacchetto Casa Italia con gli ecobonus edilizi.
LE ENTRATE
La manovra è coperta per buona parte in deficit (13 miliardi). Altri 10 miliardi sono divisi a metà tra spending review da una parte, rientro capitali e lotta all’evasione, dall’altra. Possibile un contributo fiscale dai giochi. Nella revisione della spesa, non si esclude la sanità. Il fondo crescerebbe a 112,5 miliardi, anziché 113. Un risparmio. Ma anche un taglio.
Repubblica – 9 ottobre 2016