Fra gli infermieri di pronto soccorso viene chiamato “mal di sushi”. La scienza parla invece di sindrome sgombroide. Il concetto resta quello: nausea, mal di testa, rossore della pelle su viso e collo, nei casi più gravi anche edema della glottide con rischio di soffocamento. Ne può soffrire chi mangia tonno o altro pesce azzurro mal conservato. I casi a Milano sono in aumento, al punto che si moltiplicano le denunce presentate alla magistratura dal Nucleo anti sofisticazioni dei carabinieri.
E la Ats, l’azienza sanitaria, lancia l’allarme. “Il sempre maggior consumo di pesce, crudo soprattutto, espone a rischi alimentari che un tempo erano marginali. I casi di sindrome sgombroide si moltiplicano, con rischi seri per soggetti particolarmente sensibili”, dice Simonetta Fracchia, direttore Igiene alimenti e nutrizione dell’Ats milanese. Una delle strutture complesse che fanno capo al dipartimento Prevenzione guidato dalla dottoressa Susanna Cantoni.
L’ultimo caso finito in procura è quello di quattro medici rimasti intossicati lo scorso 29 settembre dopo avere mangiato tonno in un ristorante di via Marostica. I carabinieri del Nas hanno ispezionato il locale, rilevando irregolarità nella modalità di conservazione di “tonno e altri pesci di specie affini”. Il 6 settembre a essere visitato dagli uomini dell’Ats è stato invece un bar, che serviva tonno scottato poco fresco, che aveva causato diversi malori. Il 26 settembre è toccato a un ristorante, il 27 a due locali di cui un “all you can eat” di sushi. Altre segnalazioni sono state fatte agli ispettori dell’azienda sanitaria sanitaria il 30 settembre e il 1 ottobre.
Nel 2015 – anno record – i casi di persone intossicate da sindrome sgombroide in città sono stati 47. Fra il 1 gennaio e il 31 agosto di quest’anno, quindi in otto mesi, i pazienti colpiti da “mal di sushi” sono stati 38. E a settembre se ne sono aggiunti almeno altre sette. “Non si può parlare di epidemia, ma senz’altro ci sono diversi focolai preoccupanti – dice la dottoressa Fracchia – chi esce a mangiare pesce dovrebbe farlo con la consapevolezza di ciò che rischia. E rivolgersi a ristoranti di cui conosce gli standard di qualità”.
Nella grande maggioranza dei casi sono i pronto soccorso ad avvisare Nas e Ats dei casi di intossicazione da tonno. “I casi sono così frequenti che ormai i medici hanno imparato a distinguere i sintomi – dice Claudio Monaci, direttore del dipartimento veterinario di Milano nell’ambito dell’Ats – Sull’intensità con cui i sintomi si presentano influisce la sensibilità individuale. In ogni caso, da quando i casi sono così diffusi, abbiamo aumentato il numero dei controlli e li abbiamo resi più efficaci”.
Oltre a intervenire nei ristoranti in cui hanno mangiato coloro che poi si sono sentiti male, i controlli vengono effettuati anche al mercato generale del pesce in via Lombroso. Ogni mese il presidio dell’Ats presso il capannone dove avviene la compravendita di pesce intercetta diverse carcasse di tonno conservate in modo inadeguato. Oppure, intere partite di pesce azzurro contaminato, come palamite, sgombri, tombarelli.
Se i sintomi sono molto fastidiosi, la cura della sindrome sgombroide è semplice. “Chi resta intossicato deve prendere cortisone o altri antistaminici, e nel giro di poche ore sta bene”, dice la dottoressa Fracchia. La situazione è più complessa per le donne incinte, per cui la terapia cortisonica è fortemente sconsigliata.
E per cui l’indicazione generale è di astenersi se possibile dal mangiare pesce crudo o solo scottato, anche per il rischio di contrarre la salmonellosi o altre patologie.
Oltre all’abitudine dei ristoranti di sushi (ma non solo) di tenere “in vetrina” i tranci di tonno già tagliati, una causa di contaminazione del pesce è il trasporto in condizioni igieniche e di freddo non ottimali. In particolare, per i carichi che arrivano dal Pacifico.
Repubblica – 6 ottobre 2016