di Claudio Testuzza. Dopo alcune settimane di incontri fra governo e sindacati, alla fine, è stato sottoscritto un documento (la Cgil presa da improvvisa contrizione lo definisce solo un “ verbale”) che, con un tentativo mal riuscito, doveva porre rimedio alle storture introdotte dalla riforma Fornero del 2011. Dovrebbe valere due miliardi l’anno per i prossimi tre anni l’operazione di cambiamento.
Ma, ricordiamo, che nel pacchetto sociale faranno parte anche i fondi per il rinnovo dei contratti per il pubblico impiego ( circa 700 milioni ), quelli per detassare il salario di produttività e il welfare aziendale ( altri 600 milioni ) ed anche le risorse del Fondo Povertà ( 500 milioni ).
Non resta molto per la previdenza. Infatti così come in natura, anche in previdenza nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si può trasformare. Almeno a parole.
Venendo ai contenuti dell’accordo il primo impatto sul settore dovrebbe essere prodotto, anche se per solo due anni, dalla così detta APE., l’anticipo pensionistico, che dovrebbe permettere a chi compie 63 anni di lasciare, con un anticipo sino a tre anni e sette mesi, il lavoro con un prestito pensionistico. Prestito che viene previsto oneroso e costrittivo di una riduzione dell’importo in godimento per almeno venti anni.
Forse sarebbe stato il caso di chiamarlo e realizzarlo quale possibile “ riscatto volontario ” per gli anni mancanti al limite del pensionamento di vecchiaia attuale ( 66 anni e sette mesi). Gli eventuali interessati avrebbero potuto modulare la loro uscita e quindi i pagamenti relativi, anche eventualmente in una unica soluzione (utilizzando la liquidazione ) o ratealmente, senza ricorrere a banche od assicurazioni e senza fare sorgere conflitti fra le fasce più disagiate, per le quali viene prevista una Ape sociale senza tagli, agendo sul versante fiscale, e quelle a trattamenti pensionistici più elevati che si vedranno taglieggiare per due decenni la pensione. L’anzianità maturata sarebbe stata quella risultante dalla ricongiunzione dei periodi lavorati e quelli riscattati, senza quella ulteriore perdita dovuta all’interruzione anticipata del rapporto di lavoro.
Poi, nella più grande nebulosità resta tutto il versante relativo ai lavoratori precoci, e quelli soggetti ai lavori usuranti. Per i primi vi è stata una vera e propria rincorsa dei sindacati confederali. Ancora la Cgil chiedeva, salvo il ritiro dalla trattativa, di includere nella supposta facilitazione i lavoratori entrati in attività prima dei 18 anni. Altri si limitavano a considerare i periodi di impiego svolti prima del sedicesimo anno d’età. Ma nessuno ha pensato che la condizione più importante da risolvere era e rimane quella di eliminare, e questo vale anche per l’Ape, il meccanismo infernale della doppia indicizzazione. Non si può lasciare crescere senza fine la speranza di vita ( vecchiaia ) ed anche l’anzianità contributiva. Altrimenti la prima raggiungerà, a breve, i 70 anni d’età e la seconda i 43 anni ed oltre di contributi.
La soluzione del Governo, a cui i sindacati non hanno minimamente replicato, è una vera e propria “ furbata “. Avendo previsto che l’asticella, 41 anni di contributi per l’uscita anticipata, potrà riguardare solamente quelli che hanno iniziato prima dei 19 anni è stata , di fatto, ripristinata la “ Quota 60 ” ( 41 più 19 ) delle precedenti riforme che consentiva il pensionamento d’anzianità solamente con almeno sessanta anni d’età. Ricordiamo che l’attuale pensione anticipata pur richiedendo 41 anni e 7 mesi per le donne e 42 anni e sette mesi per gli uomini non prevede nessun limite d’età.
Ma non basta. Per rientrare in questa ipotetica agevolazione bisogna essere, oltre che disoccupati ( ! ), persone in condizioni di salute che determinano disabilità. Qualcuno avrebbe dovuto suggerire, ai partecipanti agli incontri Governo- Sindacati, che esistono, ancora fortunatamente, le pensioni di invalidità e inabilità. Per non parlare degli occupati in attività ritenute particolarmente gravose, dimenticando che è prevista tutta una legislazione previdenziale per costoro. Forse si è preferito attivare una vera e propria guerra fra categorie che sarà combattuta, a breve, per chi debba rientrare o meno fra i destinatari.
Anche, per gli usurati la proposta attuale appare un infimo contentino. Addirittura, in alcuni casi, offensivo : l’abolizione della finestra mobile di 12/18 mesi tra la maturazione del requisito ( oggi da quota 97,6 a quota 100,6 con almeno 35 anni di contributi ); il non adeguamento alla speranza di vita; il non svolgimento della mansione usurante nell’anno di maturazione del diritto ( oggi richiesto di almeno 7 anni negli ultimi 10 anni di vita lavorativa e successivamente per la metà della durata del rapporto di lavoro usurante ).
Sarebbe stato più gentile prevedere un ultimo anno alle Maldive!
Per quanto attiene la possibilità di ricongiunzione gratuita dei contributi versati in previdenze diverse sarà necessario attendere la corretta definizione della norma, per non trovarsi difronte al semplice cumulo fra gestioni esistenti all’interno dell’Inps e non per le effettive ricongiunzioni fra enti, come è il caso della ricongiunzione Inpdap-Inps.
Nulla è stato concordato, ed è estremamente grave per le aspettative di molte lavoratrici in merito alla possibili prosecuzione dell’opzione donna, che ricordiamo scade quest’anno.
Un contentino viene, comunque, dato alle pensioni più basse con l’ampliamento della platea dei destinatari della quattordicesima mensilità ( da 3335 a 500 euro per redditi inferiori ai 10 mila euro lordi annui ) e l’estensione della no tax area oggi limitata ai pensionati con meno di 75 anni d’età ed assegni annuali non superiori ai 7.750 euro e per quelli più anziani con assegni sino a 8.000 euro.
Il Sole 24 Ore – 6 otobre 2016