Il Parlamento, ormai, appare come un’auto che si avvia al rallentatore sulla strada al termine della quale si intravede il referendum costituzionale del 4 dicembre. Ora che mancano 60 giorni all’apertura delle urne, in cui il governo Renzi potrebbe giocarsi la partita della vita, Camera e Senato hanno «tirato il freno a mano» per evitare pericolose sbandate, se non i testacoda, sul terreno sdrucciolevole dei temi sensibili, degli argomenti particolarmente divisivi e di tutto ciò che impegna fino all’ultimo i voti della maggioranza.
Non solo la legge elettorale è ferma in attesa di capire se vincerà il Sì o il No. Nella lista d’attesa del Senato ci sono la riforma penale (sono direttamente interessati avvocati, magistrati, imprese, investitori stranieri e, sostanzialmente, tutti i cittadini soggetti al codice penale), la legge sulla concorrenza approvata in commissione il 2 agosto scorso (ordini professionali, farmacisti, medici, notai, studi legali) e quella sul conflitto di interessi che riguarda i burocrati grandi e piccoli e gli stessi parlamentari. Ma a Palazzo Madama sono inchiodate anche le norme sul nuovo Codice della strada (in commissione), l’introduzione del nuovo reato di tortura (in aula dal 27 luglio), la riforma del codice civile, le regole per il cyberbullismo, il reato di diffamazione riveduto e corretto.
Alla Camera gli stop più clamorosi riguardano due temi dirimenti. La liberalizzazione della cannabis (approdata in aula a luglio ma ora pronta per essere rispedita in commissione) e la legge sulle adozioni che in realtà si è molto appesantita dal momento in cui la stepchild adoption (adozione del figlio del partner) è stata stralciata dalle unioni civili. Ieri è stata approvata la legge sull’editoria grazie anche all’impegno del relatore Roberto Rampi (Pd) e in settimana passerà in prima lettura la conversione del decreto che interviene sulla Cassazione (sull’età pensionabile di 18 alti magistrati) ma di fatto, conferma Rocco Palese (ex Forza Italia ora passato con Fitto), «siamo praticamente già in sessione di bilancio…».
In altre parole, sussurrano autorevoli voci della maggioranza, in attesa del referendum costituzionale «non bisogna scontentare nessuno ma neanche accontentare qualcuno a scapito di altri…». Più istituzionale la sintesi del sottosegretario ai rapporti con il Parlamento, Luciano Pizzetti (Pd): «Certo, tutto rallenta se si preannuncia la fine del mondo, o l’inizio di uno nuovo, dopo il 4 dicembre».
Il governo, dunque, è messo a dura prova dalla frenata impressa al Senato al disegno di legge di riforma della giustizia penale licenziato il 23 settembre del 2015 dalla Camera grazie al lavoro della commissione Giustizia presieduta da Donatella Ferranti (Pd) e dal sostegno del Guardasigilli Andrea Orlando: in un anno, la riforma ha superato il vaglio della commissione Giustizia del Senato ma non quello dell’Aula di Palazzo Madama, dove è sbarcato un paio di settimane fa. E ora, anche se Orlando ha ottenuto che il Consiglio dei ministri deliberasse il ricorso alla fiducia (che per ora rimane nel cassetto), la prospettiva del forte rallentamento non cambia. L’ordine del giorno prevede che abbiano la precedenza il ddl sul cinema, il Def e la commemorazione di Carlo Azeglio Ciampi. Con la prospettiva che i primi, temutissimi voti (molti segreti) sul ddl penale vengano rinviati di altre due settimane. A fine ottobre, poi, un capogruppo potrebbe anche chiedere il voto per il rinvio in commissione (la maggioranza pur di non sbandare sarebbe compatta) fino a intravedere la sessione di bilancio che al Senato inizia tra il 23 e il 28 novembre. Giusto in tempo per rimandare il tutto all’anno nuovo. «A meno che — chiosa David Ermini (Pd) — ci rimandino subito il testo alla Camera e lo approviamo».
Dino Martirano – IL Corriere della Sera – 5 ottobre 2016