Silvia Francia. Ammette senza fatica di non essere proprio un’animalista della prima ora, Vittorio Sgarbi. Ciò non toglie che, in qualità di critico d’arte, sia più che titolato a tenere una lezione su quei «D’istinti animali» a cui Torino Spiritualità ha dedicato l’edizione 2016. L’appuntamento, centrato proprio sui più interessanti esempi di bestiari artistici e sulle variazioni pittoriche a tema faunistico, è in programma alle 16 in aula magna della Cavallerizza (biglietti a 5 euro).
Ma, fuori d’intellettualismi, che rapporto ha Vittorio Sgarbi con gli animali?
«Di simpatia a distanza. Non amo i cani che mi leccano la mano o che mi scodinzolano intorno, mentre del gatto non mi piace l’odore. I cani, secondo me, dovrebbero vivere rigorosamente nei cortili e non dentro alle case. Tra gli animali non domestici, mi piace molto la zebra».
«Figure animali tra Medioevo e Ottocento» è il titolo della lezione che terrà oggi. Quali artisti citerà?
«Parlerò di una bellissima annunciazione di Lorenzo Lotto, in cui l’artista raffigura, curiosamente, un gatto che scappa mentre compare l’angelo: il micio pare una bestia indiavolata, come se l’epifania di quella figura celeste lo avesse inquietato piuttosto che rasserenarlo. Nelle tele del Bassano, invece, gli animali, ritratti in momenti di vita pastorali, tutti placidi e sereni, sembrano vivere una relazione di perfetta sintonia con l’uomo e con l’intero ambiente che li circonda. Ma senz’altro citerò anche il bestiario medievale, popolato di creature mostruose, quasi demoniache».
Lei oggi è ospite di Torino Spiritualità. Cosa pensa di questa manifestazione?
«Non ne ho ancora esperienza diretta perché questa è la prima volta che partecipo. Ma già dal titolo mi sembra un’iniziativa perfetta per Torino, città che trasuda spiritualità e che, tra l’altro, ha dato i natali e un personaggio come Rol».
In materia di manifestazioni torinesi, ce n’è una che l’ha vista protagonista solerte e affezionato: quel Salone del Libro che ora sta vivendo momenti piuttosto travagliati. Cosa ne pensa?
«Credo che avrebbero dovuto darmi retta. Bastava seguire l’esempio felice di Mito. Lo abbiamo creato fra mille polemiche e ora è diventato un grande festival internazionale. All’epoca io, che ero assessore alla Cultura a Milano, proposi a Mercedes Bresso di applicare la stessa strategia al Salone del Libro, ma lei mi rispose picche. Come al solito sono profetico, ma non mi hanno dato ascolto e così ci saranno due Saloni: il che è cosa francamente ridicola. Ma adesso che su questo tema è guerra aperta e senza quartiere, è tardi per correre ai ripari: Torino subisce la violenza milanese. Si doveva agire prima e allungare i tempi del Salone ad almeno sei giorni, durante i quali far circuitare gli scrittori e portarli in tournée, come fa Mito con le orchestre. Il che avrebbe consentito anche di ammortizzare le spese».
La Stampa – 2 ottobre 2016