Dopo sette mesi consecutivi di apnea, i prezzi al consumo riemergono, anche se timidamente. L’inversione di tendenza non cambia lo stato di una domanda di beni di consumo molto debole (-0,2% le vendite al dettaglio a luglio), ma il segnale positivo non va trascurato: l’Italia era sprofondata in deflazione dallo scorso gennaio e con picchi negativi fino al -0,5%.
Nel mese di settembre 2016, secondo le stime preliminari Istat, l’indice dei prezzi segna una diminuzione dello 0,2% su base mensile e un aumento dello 0,1% rispetto a settembre 2015 (era -0,1% ad agosto). La forbice tra dato mensile e annuale conferma la fragilità del trend, ma gli economisti si dicono certi che sino a tutto il 2016 e il 2017 l’inflazione dovrebbe intercettare una corrente ascendente, anche se ancora lontana dal 2%, obiettivo della Bce.
Intanto nell’area euro va un po’ meglio e il segnale arriva più forte: secondo Eurostat, a settembre la crescita dei prezzi al consumo su base annua si è attestata allo 0,4%, dallo 0,2% di agosto.
Il fattore energia
Ancora una volta l’energia gioca un ruolo fondamentale nell’andamento dell’inflazione italiana: infatti, l’inversione di tendenza è dovuta, secondo Istat, al rallentamento nella corsa al ribasso dell’energia, dei prezzi non regolamentati (-2,7%, da -7,0% di agosto) e regolamentati (-4,1%, da -5,9%). In misura minore, alla ripresa della crescita tendenziale dei prezzi dei trasporti (1,1%). Al netto degli alimentari non lavorati e dei beni energetici, l’inflazione di fondo sale a 0,5% (da 0,4% di agosto) e al netto dei soli beni energetici si attesta a 0,5% registrando, rispetto al mese precedente (0,6%), un rallentamento di lieve entità. L’inflazione acquisita per il 2016 risulta pari a -0,1%, dallo zero del mese precedente.
Nel carrello della spesa (comprende alimentari, prodotti per la cura della casa e della persona) a settembre l’inflazione si azzera. Dallo 0,6% di agosto. Mentre su base mensile la variazione è -0,1 per cento.
In territorio positivo, i prezzi su base annua di abbigliamento e calzature (0,2%), arredamento (0,1%), sanità (1%), istruzione (0,9%) e ristorazione (0,7%).
Quanto alle città, a Firenze i prezzi tendenziali segnano una variazione nulla mentre a Bologna rimbalzano dello 0,3% e a Napoli dello 0,6%.
Aspettare il 2017
Per Loredana Federico, capo economista di Unicredit research, il rafforzamento dei prezzi «tenderà a consolidarsi sino alla fine del 2016, attestandosi a +0,3%/+0,4%. Nella seconda parte del 2017 si punterà all’1%». Certo i fondamentali dell’economia italiana rimangono deboli «con vendite al dettaglio negative ma i dati sull’occupazione sono positivi, nonostante il rallentamento derivante dal venir meno degli incentivi».
A proposito di prezzi e fondamentali, ieri il presidente
di Intesa Sanpaolo, Gian Maria Gros-Pietro,ha detto che dai dati Istat «si evince che nonostante l’immissione di liquidità l’inflazione in Italia è pericolosamente vicina allo zero. Il problema è che la liquidità non si trasforma in domanda. In questo frangente ci sono tutte le caratteristiche per attivare la spesa pubblica, che dovrebbe puntare alla costruzione delle infrastrutture necessarie per rendere l’economia più competitiva».
Per Mariano Bella, direttore dell’ufficio studi di Confcommercio, «il dato positivo dell’inflazione era atteso ma si tratta di dinamica puramente meccanica: in realtà non c’è stato nessun elemento della domanda capace di spingere i consumi. Stante questa situazione, è probabile che nel primo trimestre del 2017 l’inflazione raggiunga l’1% ma non vedo elementi di fondo positivi». Secondo Bella «il -0,2% delle vendite al dettaglio di luglio è un pessimo segnale: non ne capiamo fino in fondo la ragione, forse l’andamento del turismo. Comunque si rischia di chiudere un secondo semestre del 2016 peggiore del primo». Quale la strada per la ripresa? «Un taglio fiscale concreto e generalizzato, attraverso la riduzione delle aliquote Irpef, è la migliore terapia contro la sfiducia e per la crescita».
Luigi Bordoni, direttore di Centromarca, reduce dal meeting di Assago dell’industria di marca, parla esplicitamente di stagnazione dei consumi e forte incertezza sul futuro. Complice anche il prossimo referendum. «Da un nostro sondaggio sulle previsioni dei prossimi 12 mesi – sottolinea Bordoni – il 40% degli intervistati stima vendite in crescita, il 34% stabili e il 26% in calo».
Il Sole 24 Ore – 2 ottobre 2016