Solo 8 persone su 100 possono inspirare a pieni polmoni, sapendo che l’aria che entra nel loro corpo è pulita. Gli altri, il 92% degli abitanti del pianeta, sono costretti ad arrangiarsi con quello che c’è, con un’aria che non risponde agli standard dell’Organizzazione mondiale della sanità . A molti va bene: il loro organismo è abbastanza forte da espellere gli inquinanti senza danni o con una semplice bronchite.
Sei milioni e mezzo non sono così fortunati: muoiono di malattie cardiovascolari, ictus, cancro ai polmoni. È il prezzo che paghiamo ogni anno per l’inquinamento atmosferico che ci assale negli spazi aperti e all’interno delle case.
Questo bilancio è stato tracciato da un rapporto dell’Oms che analizza i dati provenienti da 3 mila località del mondo, soprattutto città. Il 92% della popolazione mondiale vive in luoghi in cui le polveri ultrasottili — chiamate PM2,5 perché il loro diametro non supera i 2,5 millesimi di millimetro — superano i 10 microgrammi per metro cubo. Questo non vuol dire che l’aria sia necessariamente fuori legge, perché ad esempio in Europa le direttive comunitarie stabiliscono un tetto di 20 microgrammi per metro cubo (limite che in Italia è spesso superato). Ma si tratta comunque di valori che portano a un aumento della mortalità. «Un’azione rapida per fronteggiare il problema dell’inquinamento atmosferico è urgente», dice Maria Neira, direttrice del dipartimento Sanità pubblica dell’Oms, aggiungendo che il problema non è senza via di uscita. Per ripulire l’aria basterebbe incentivare i sistemi ad alta efficienza e a basso impatto ambientale: mobilità sostenibile, fonti rinnovabili, gestione avanzata dei rifiuti. Ma l’innovazione procede lentamente e il risultato è che l’11,6% delle morti è dovuto allo smog (3 milioni di vittime ogni anno) e all’inquinamento all’interno delle case.
È sufficiente un’occhiata alla mappa dell’Oms per capire dove si concentra il problema. Quasi tutta l’area dei Paesi di antica industrializzazione è segnata in verde, il colore che contraddistingue il minimo dell’inquinamento: lì gli ultimi decenni hanno portato miglioramenti sensibili. Il rosso fuoco, che segna i valori più alti delle polveri sottili, invade l’Asia e l’Africa, le zone in cui l’impatto dell’industrializzazione poco attenta all’ambiente è più forte e più vicino nel tempo. Circa il 90% delle morti riguardano Paesi a reddito medio-basso, e i due terzi si registrano nel Sudest asiatico e nel Pacifico occidentale. L’Italia appare in arancione chiaro (valori tra 16 e 25 microgrammi per metro cubo), con macchie gialle in Sardegna, Sicilia e Calabria dove l’aria è migliore (11-15 microgrammi) e un’allarmante striscia arancione scuro in pianura padana (26-35 microgrammi, ben sopra i limiti di legge) dove l’insieme di circostanze sfavorevoli (le montagne bloccano la circolazione dell’aria) e di ritardi nell’innovazione ambientale provoca una situazione di crisi.
Repubblica – 28 settembre 2016