Anche se gli incarichi di funzioni dirigenziali sono rinnovabili, per il principio di rotazione essi non possono superare una ragionevole durata e devono seguire procedure trasparenti come garanzia minima contro il rischio di corruzione (legge n. 190/2012): è quindi illegittimo prolungarli per anni o di fatto a vita, tantomeno se non ci sono, o non sono giustificate adeguatamente, le «particolari esigenze di funzionamento» che in casi eccezionali possono derogare alla regola generale del concorso.
A chiarirlo è la Corte dei conti, nella delibera n. 144/2016 depositata il 12 agosto dalla Sezione regionale di controllo per la Puglia, negando il visto di legittimità al decreto con cui la prefettura di Lecce aveva deciso di riaffidare allo stesso dirigente, e per la terza volta dal 2008, il servizio amministrazione, affari generali e attività contrattuale. Col “via libera” all’incarico, disposto a maggio scorso e valido per altri cinque anni, il dirigente – di seconda fascia – avrebbe infatti mantenuto la stessa funzione per un totale di 13 anni e senza interruzioni (dal 28 aprile 2008 al 27 aprile 2021) nonostante la presenza in organico di un altro dirigente.
Incarico illegittimo
Per i magistrati contabili, questo tipo di incarico va oltre i limiti ragionevoli di legge ed è doppiamente illegittimo poiché la Pa non ha provato a dovere l’indispensabilità di “bypassare” per l’ennesima volta la procedura valutativa prevista dal testo unico sul pubblico impiego (articolo 19 Dlgs n. 165/2001). Per la Prefettura, invece, data la «sostanziale difficoltà» a ruotare l’altro dirigente in organico trattandosi di posizioni «differenti» e quindi non «interscambiabili», il rinnovo avrebbe garantito continuità e buon andamento ad attività in corso «importanti e delicate» come gli appalti e i contratti di competenza del ministero dell’Interno. L’alternativa era la mobilità, ma non era ritenuta percorribile poiché il dirigente utilizzava i permessi giornalieri per assistere famigliari con handicap (articolo 33 legge n. 104/1992).
Le regole di trasparenza
Bocciando questa tesi, la Corte ha ricordato la «regola generale» che impone alla Pa la trasparenza sul numero, sulla tipologia dei posti di funzione disponibili e sui criteri di scelta dei dirigenti interessati (comma 1-bis, articolo 19), oltre al tetto sulla durata (dal minimo di tre al massimo di cinque anni) e alla possibilità di rinnovo, temi su cui è intervenuta la recente delega alla “riforma della Pa” (lettera h, comma 1, articolo 11, legge n. 124/2015) prevedendo per gli incarichi non a caso limiti più restrittivi, con un tetto di quattro anni e con la possibilità di estenderli fino a sei per una sola volta e a certe condizioni.
Un rigore già applicato
Un’interpretazione “rigorosa” già applicata anche di fronte a particolari competenze e buoni risultati (Sezione controllo Sardegna, delibera n. 87/2014), a casi estremi di un solo dirigente (Sezione controllo Emilia Romagna, delibera n. 180/2014), e, di recente, a un rinnovo prolungato per un totale di 14 anni a un dirigente del ministero dell’Interno (Sezione controllo centrale, delibera n. 7/2016). Le norme, infatti, come affermato, «rispondono, oltre che ad un interesse dei singoli candidati, anche a quello di assicurare la trasparenza e la neutralità nella assegnazione delle funzioni», e possono essere derogate solo se ci sono «peculiari esigenze di funzionamento», in ogni caso «adeguatamente espresse». Esse vanno poi coordinate con quelle “anticorruzione” con cui il legislatore ha «chiaramente manifestato un notevole disfavore nei confronti della prolungata permanenza dei dirigenti pubblici negli incarichi conferiti».
Quest’ultima disciplina prevede, infatti, che il Dipartimento della funzione pubblica indichi i criteri di rotazione dei dirigenti «nei settori particolarmente esposti alla corruzione» e le misure contro sovrapposizioni o cumuli anche per gli esterni (lettera e, comma 4, articolo 1), e che, definendo le «procedure appropriate» per la selezione e la formazione, si assicuri la rotazione di dirigenti e funzionari proprio nei settori più a rischio corruttivo (lettera b, comma 5, articolo 1), oltre ad affidare il controllo sull’«effettiva rotazione» al responsabile della prevenzione della corruzione e della trasparenza.
I limiti negli appalti
E proprio per gli appalti il legislatore impone anche un «livello essenziale» di trasparenza in funzione anticorruttiva (comma 16, articolo 1), e a prescindere dal numero e dal valore delle gare. Questa attività quindi, anche se «delicata e importante» come in questo caso, è pur sempre «del tutto ordinaria e fisiologica» per la Pa, per cui se giustificasse in automatico il rinnovo degli incarichi verrebbe «sostanzialmente vanificata» non solo la normativa anticorruzione, ma soprattutto la previsione dei limiti temporali, prolungando l’incarico allo stesso dirigente «potenzialmente fino al pensionamento». In questo caso i requisiti di assistenza a terzi del dirigente gli consentono di non essere trasferito in un’altra Pa senza il suo consenso, ma non di conservare l’incarico «in deroga alla normativa generalmente applicabile, ad libitum o a tempo eventualmente indeterminato».
Il Sole 24 Ore – 26 settembre 2016