«A giorni presenteremo ricorso contro il rinnovo dell’autorizzazione regionale che prevede il raggiungimento da subito dei limiti di legge sulle concentrazioni di Pfas nelle acque del Vicentino. E lo faremo perché è un obiettivo irrealizzabile, pena la potenziale messa in discussione di 30.000 posti di lavoro». Antonio Mondardo, presidente del Consorzio Arica che riunisce i gestori dei cinque impianti di depurazione dell’area berica non nasconde la delusione: «Il problema non è la Regione che a luglio aveva rinnovato la collaborazione prescrivendo un triennio, tempi stretti comunque ma percorribili, per arrivare all’obiettivo. Il problema è il ministero dell’Ambiente che, nonostante una prima apertura da parte del ministro Gian Luca Galletti, ha scelto di non far sconti».
Il sottinteso del ragionamento di Arica, emerso a margine del convegno internazionale sul trattamento delle acque in corso in questi giorni a Venezia Watec, è che si tratti di una decisione che mette al riparo formalmente l’organismo centrale che segue il principio di precauzione applicato in questi casi a fenomeni di inquinamento non ancora scientificamente approfonditi senza tener conto della sostenibilità economica e sociale del vincolo.
«Il ricorso che presenteremo a giorni – continua Mondardo – riguarda sia la sostanza, tempi non plausibili perché le aziende del conciario si mettano in regola, né la forma visto che, incomprensibilmente, nelle indicazioni del ministero si parla del solo Veneto, e le altre regioni?».
I tempi sono lunghi per forza, dicono i tecnici, visto che l’utilizzo di filtri a carboni attivi non è sufficiente e soprattutto non lo è se vengono applicati a valle del percorso delle acque reflue. «Il filtro riesce a catturare questi elementi chimici – spiega Mondardo – solo se l’acqua è limpida, se è già intorbidita dagli altri elementi provenienti dalle lavorazioni della concia, il filtro si intaserebbe in pochissimo tempo e i costi sarebbero folli. Attrezzando le aziende a monte del ciclo idrico-industriale con costi che, caso per caso, andrebbero da qualche migliaia a un centinaio di migliaia di euro l’anno, si potrebbe fronteggiare seriamente il fenomeno. Pretendere di rientrare subito entro i limiti di legge, invece, non potrebbe tradursi che in un modo: staccare la spina a decine di aziende e al loro indotto».
La stima parla di circa 30.000 posti di lavoro. A partire da quelle aziende che godono di commesse rilevanti per i sedili in pelle (trattati con impermeabilizzanti) per le grandi case automobilistiche tedesche, da Audi a Mercedes.
Resta da chiedersi, considerato che prodotti chimici che vengono utilizzati in molti altri settori, dal mobile all’occhialeria nel Bellunese, se focalizzare l’attenzione sulla sola area vicentina non si rischi di lasciare senza controlli altri interi distretti industriali.
Martina Zambon – Il Corriere del Veneto – 23 settembre 2016