Ha messo una toppa alla crisi del latte («dal 2017 saremo i primi con la Francia a mettere in etichetta l’origine della materia prima»). È alle prese con i guai del grano, schiacciato da quotazioni da saldo. Il ministro dell’Agricoltura Maurizio Martina vuol guardare anche oltre le urgenze: «Viviamo in un’epoca dove la Bayer si fonde con Monsanto e la Cina sfida gli Usa incentivando i suoi contadini con 100 miliardi di dollari di aiuti — dice — . L’agricoltura italiana non ha le dimensioni per combattere quella guerra né può ridursi sempre a ragionare a breve termine.
Abbiamo bisogno di disegnare una nostra strategia anticipando i cambiamenti e non subendoli». Come? «Puntando tutto su ecologia e rivoluzione digitale con un obiettivo chiaro: entro il 2030 la nostra agricoltura deve essere 100% sostenibile ». Dopo Oscar Farinetti (Eataly) e Carlo Petrini (Slowfood) Martina risponde sul tema del Made in Italy, tra eccellenze e falsi miti.
Scommessa ambiziosa, la sua. Ma perché contadini e imprese dovrebbero seguirla?
«Perché la sostenibilità aumenta la competitività. I cittadini, sempre più consapevoli, domandano qualità e basso impatto ambientale. Il biologico è l’esempio. In Italia le superfici bio sono aumentate del 50% in 5 anni, i consumi del 20%. E sui prodotti coltivati così si guadagna in media il 10-15% in più. È il modo per valorizzare la nostra biodiversità coniugandola con la redditività ».
E come si possono incentivare rapporti migliori tra industria e produttori agricoli?
«Con strumenti utili, le faccio un esempio: i contratti di filiera per il grano che stiamo supportando anche in questi giorni. È una scommessa condivisa tra coltivatori e imprese. I contadini garantiscono cereali di maggiore qualità. Le aziende il ritiro del raccolto e il prezzo con accordi pluriennali. Noi mettiamo 100 euro di aiuti all’ettaro e i controlli. In più vogliamo lanciare per primi in Europa un’assicurazione per coprire i ricavi dei campi proteggendoli dalle fluttuazioni dei prezzi. L’obiettivo è tutelare meglio il reddito degli agricoltori».
L’Italia è il Paese delle micro- aziende agricole. Realtà difficili da integrare in una rivoluzione di questo tipo…
«Questa rivoluzione può partire proprio dai piccoli. Io chiedo ai nostri produttori di aggregarsi. Si può essere piccoli e globali. Pensi alle mele del Trentino: 15mila piccoli produttori indipendenti che fanno rete e oggi controllano assieme il 70% del mercato nazionale e hanno una leadership mondiale. Sono la prova che soprattutto in agricoltura si può essere glocal».
I “piccoli” però non hanno margini tirati e pochi mezzi per rinnovare le aziende. Come fare?
«Ci si deve rendere conto che la smart-farm, la fattoria tecnologica e multifunzionale, sfruttando l’Internet delle cose può abbattere i costi e migliorare le rese. Ci sono ad esempio già oggi aziende vitivinicole che usando i sensori dell’irrigazione di precisione hanno ridotto del 30% i consumi di acqua. Anche per questo abbiamo lavorato per estendere i vantaggi del piano “Industria 4.0” all’agricoltura con i superammortamenti su macchine e tecnologie di ultima generazione. Il digitale rivoluzionerà anche tracciabilità ed etichette. Pure qui dobbiamo giocare d’anticipo e non avere paura della massima informazione al cittadino».
Oggi industria e distribuzione hanno il coltello dalla parte del manico. Come fare per ridare potere negoziale a contadini e consumatori?
«Digitale ed ecologia accorciano la filiera e avvicinano in modo più trasparente chi lavora nei campi e chi compra dagli scaffali. Anche i trasformatori ci chiedono più aiuti per materie prime sostenibili e di qualità. La distribuzione va coinvolta e deve farsi coinvolgere sempre di più. Sul latte, per esempio, ha dato una mano. Inoltre su questo fronte l’innovazione paga: il 9 settembre abbiamo aiutato le cantine italiane a partecipare alla giornata del vino promossa sul web da Alibaba. Hanno aderito 50 aziende e 500 etichette contro le due imprese dell’anno precedente. C’è chi ha venduto 10mila bottiglie in un giorno. In 24 ore abbiamo raggiunto 100 milioni di cinesi di cui 50 hanno acquistato per la prima volta vino. È stata una bella dimostrazione che, nella globalizzazione, si può essere protagonisti nella propria diversità».
Repubblica – 23 settembre 2016