La più generosa tra i big d’Europa appare la Francia, almeno sulla carta. Qui chi ha iniziato a lavorare prima dei 16 anni può chiedere la pensione anticipata per «lunga carriera». Ottenerla però non è facile, perché occorre rispettare alcuni requisiti molto rigidi. In altri casi, sempre Oltralpe, si può lasciare il lavoro a 57, 58, 59 e 60 anni, a seconda dell’età di inizio dell’attività e dei contributi maturati, mentre l’età legale è di 62.
«Indicare un modello – chiarisce però subito Joachim Ragnitz, direttore dell’Istituto Ifo di Dresda esperto di demografia e previdenza – non è possibile, perché ciascun Paese ha messo in campo sistemi diversi a seconda delle tradizioni storiche e degli sviluppi demografici».
Mentre in Italia si discute sull’Ape, il prestito per l’anticipo pensionistico, Il Sole 24 Ore ha compiuto un viaggio virtuale tra i regimi degli altri. Nell’Unione europea – secondo le elaborazioni del Cesifo di Monaco di Baviera sulla banca dati Missoc della Commissione Ue – sono 23 i Paesi (inclusa l’Italia) che attualmente consentono l’anticipo della pensione. In cinque (Danimarca, Svezia, Irlanda, Olanda e Gran Bretagna) non esiste invece attualmente una formula di questo tipo.
Nei Paesi che la prevedono l’allungamento delle aspettative di vita e l’occhio sempre più attento alla sostenibilità dei conti pubblici hanno portato a una stretta dei requisiti negli ultimi anni. «Il periodo contributivo richiesto per il pensionamento anticipato – spiega Anna D’Addio, economista della divisione politiche sociali dell’Ocse – è aumentato per esempio in Belgio, Austria e Slovenia. Diversi Stati (Austria, Belgio, Grecia, Spagna e Croazia) hanno invece innalzato di un paio d’anni l’età minima per poter usufruire dell’anticipo. Altri, come l’Italia, l’hanno legata all’evoluzione dell’aspettativa di vita». Secondo le elaborazioni della Commissione Ue queste tendenze sono destinate a intensificarsi ancora, di pari passo con l’aumento dell’età pensionabile. «Con l’invecchiamento della popolazione che minaccia la sostenibilità dei conti pubblici – spiega Ragnitz – la priorità in Europa non è tanto una più ampia diffusione del pensionamento anticipato, quanto l’allungamento della vita lavorativa. In alcuni casi è possibile però introdurre una certa flessibilità, anche con una penalizzazione dell’assegno». È quello che succede in 14 Paesi europei, dove chi si ritira prima dal lavoro subisce una decurtazione. In 12 di essi, inoltre, è previsto contemporaneamente un bonus per restare al lavoro più a lungo.
Restringendo il focus sui big d’Europa, Francia e Germania prevedono un’ampia scelta di opzioni di pensionamento anticipato. La prima, oltre alla possibilità già citata, con la legge del 2014 ha rivisto le regole per le professioni usuranti. Così, come stabiliscono le ultime novità introdotte nel luglio 2015, chi lavora in catena di montaggio o entra a contatto con agenti chimici pericolosi può chiede l’anticipo a 60 anni. I fattori usuranti sono dieci, ciascuno con un punteggio prestabilito. A seconda del livello raggiunto il lavoratore può scegliere tra corsi di formazione, riduzione dell’orario e uscita anticipata. I portatori di handicap possono invece lasciare il lavoro a partire dai 55 anni in presenza di determinati requisiti. Per chi sceglie l’anticipo Parigi prevede una penalità media del 5%, mentre chi resta più a lungo ha un premio della stessa entità.
In Germania possono andare in pensione anticipata senza decurtazioni i dipendenti e gli autonomi che hanno maturato 45 anni di contributi. Una formula frutto di un accordo bipartisan Cdu-Spd nel 2014. «Si è trattato – sottolinea Ragnitz – di una mossa puramente elettorale, in contraddizione con le altre scelte, come il prolongamento dell’età pensionabile da 65 a 67 anni entro il 2027, e dai costi elevati». La Germania è però il Paese con il più ampio ventaglio di opzioni che consentono un atterraggio più morbido tra lavoro e pensione. Così chi ha maturato 35 anni di contributi può lasciare il lavoro a 63 anni, ma questa volta con un assegno ridotto del 3,6% all’anno. O le donne nate prima del 1952 con almeno 15 anni di contributi che hanno potuto anticipare l’uscita a partire dai 60 anni. E possono contare su un pensionamento anticipato a 63 anni anche i disoccupati, a determinate condizioni. Berlino prevede invece un incentivo del 6% per chi lavora più a lungo. In Spagna, secondo le regole stabilite dalla riforma del 2011 e modificate con il decreto reale del 2013, si può andare in pensione a 63 anni, ma solo con 35 anni di contributi. Con l’aumento dell’età pensionabile a 67 anni entro il 2027 anche l’età minima per l’anticipo salirà a 65 anni. Madrid registra la riduzione più marcata dell’assegno: tra il 6 e l’8%, seguita da Slovacchia (6,5%) e Portogallo (6%). Per chi resta, invece, il premio varia tra il 2 e il 4 per cento.
E l’Italia? Nel nostro Paese, che vanta il record europeo della spesa pensionistica rispetto al Pil (16,5%), oggi, dopo la legge Fornero e la manovra del 2016, esistono sei opzioni di anticipo. A queste potrebbe presto aggiungersi l’Ape. «Lo strumento – dice Anna d’Addio – deve essere visto come un modo per assicurare una maggiore flessibilità e non come meccanismo per generare più posti di lavoro per i giovani nel lungo periodo liberando quelli occupati dagli anziani. Non c’è infatti alcuna prova tangibile che questo accada in realtà». La capacità della misura di rispondere a una domanda di maggiore flessibilità senza pesare in modo eccessivo sui conti pubblici, aggiunge, «dipenderà anche dal modo in cui sarà effettivamente attuato».
Chiara Bussi – Il Sole 24 Ore – 19 settembre 2016