di Matteo Marian. «Siamo a un punto molto positivo perché abbiamo fatto un lavoro importante definendo come si potrebbe intervenire e ipotizzando la platea di persone a cui potremmo rivolgerci». Ministro Giuliano Poletti, mercoledì prossimo sarà il giorno dell’intesa sulle pensioni con i sindacati?
«Posso dire che mi auguro ci siano le condizioni per arrivare a una condivisione larga del lavoro fatto – risponde il titolare del Lavoro – ma naturalmente la conclusione la vedremo mercoledì prossimo».
Per quanto riguarda i lavoratori precoci, ovvero quelli che hanno iniziato a lavorare prima dei 18 anni, i sindacati chiedono sia prevista la possibilità di andare in pensione dopo 41 anni di lavoro anziché dopo 42 anni e 10 mesi.
«Tra i temi ancora in discussione è tra i più difficili per una ragione legata al costo di questa operazione. Noi dobbiamo fare un intervento socialmente giusto ma economicamente sostenibile».
Altro punto critico è quello delle categorie agevolate che potranno chiedere l’anticipo pensionistico (Ape) senza penalizzazioni. La soglia fino a 1.500 euro lordi di pensione prevista è rivedibile al rialzo?
«Stiamo definendo puntualmente le platee delle persone da coinvolgere ma la logica è quella di partire dai più deboli: inoccupati senza ammortizzatori sociali, persone con disabilità o che hanno in carico persone con disabilità grave e persone che fanno lavori pesanti o pericolosi. Sul resto la trattativa è ancora aperta».
Si profila un nuovo intervento di salvaguardia degli esodati?
«C’è una discussione aperta sul punto ma fondamentalmente il tema da affrontare è la verifica da parte di Inps, Ministero e Ragioneria sull’utilizzo dei fondi stanziati e, quindi, sull’impegno delle risorse non ancora impegnate. Per quanto riguarda le categorie dobbiamo, in primo luogo, allungare la copertura a chi sta già dentro le salvaguardie».
I sindacati dicono che sono necessari almeno 2,5 miliardi per gli interventi sulle pensioni. È questa la cifra che avete in mente?
«Quanto serve dipende ovviamente dalle cose che si vogliono fare. Non è corretto oggi dare dei numeri perché le risorse saranno definite tramite una revisione del Documento di economia e finanza. Quello che posso confermare è che questa legge di Bilancio vedrà una presenza importante del tema previdenziale con risorse molto significative».
Per quanto riguarda le scelte in funzione delle risorse disponibili sarà definita una priorità tra aumento delle pensioni e riduzione delle tasse per le imprese?
«No, io credo ci debba essere un equilibrio tra i due interventi. La crescita e lo sviluppo sono condizioni essenziali per creare nuova ricchezza e posti di lavoro. Ma anche le politiche sociali hanno bisogno di un loro spazio perché, per avere aspettative positive, è necessaria una società coesa».
Sono molti i contratti collettivi che non vengono rinnovati: si può sperare di crescere senza aumentare gli stipendi?
«I salari è giusto aumentarli così come è bene sottoscrivere i contratti. Il punto che bisogna affrontare, però, è quello della produttività. Bisogna agire su tutte le leve possibili affinché ci sia una quota di salario legata ai processi di miglioramento della produttività».
Anche con altri incentivi per la contrattazione di secondo livello?
«Con la legge di Bilancio dello scorso abbiamo fatto un primo passo importante introducendo una tassazione secca del 10% sul salario di produttività e di detassazione completa per gli interventi di welfare aziendale. Credo sia una strada sulla quale dobbiamo proseguire e che, se sostenibile, va rafforzata».
Il problema è che in un territorio caratterizzato da piccole imprese la contrattazione di secondo livello rischia di interessare poche aziende.
«In questo periodo sono partiti anche molti accordi territoriali che possono sicuramente aiutare anche le piccole imprese a fare dei passi in avanti sul fronte della produttività».
Come funzionerà il reddito di inclusione sociale?
«La lotta alla povertà è per noi un tema essenziale. Il 2 settembre siamo partiti con il sostegno all’inclusione attiva che prefigura quello che sarà il reddito di inclusione. Lavoriamo su un intervento a due gambe: da una parte, partendo dai nuclei familiari con minori, l’integrazione del reddito ma contemporaneamente l’impegno a cercare di uscire dalla condizione di povertà».
Rispetto a giugno 2015 in Veneto c’è stata una crescita dei posti di lavoro di 28mila unità ma rispetto al 2008 il decremento occupazionale è ancora importante: 40mila posizioni di lavoro. È un’utopia sperare in un ritorno alla situazione ante-crisi?
«No, io lo considero un obiettivo importante sul quale lavorare. Cadere è molto più rapido che rialzarsi, ma se si confermerà questo trend di crescita tra qualche anno avremo pienamente recuperato i livelli di occupazione del 2008».
Il boom dei voucher parla, però, di una crescita del lavoro precario. Come si può arginare l’uso distorto di questo strumento?
«Abbiamo lavorato sulla tracciabilità e il decreto che la introduce sarà approvato nel prossimo Consiglio dei ministri. Detto questo vogliamo fare un monitoraggio puntuale di questa situazione. Se la tracciabilità non si rivelerà sufficiente faremo interventi più pesanti per arrivare a un uso ragionevole e misurato dello strumento».
Per quanto riguarda il ricollocamento al lavoro ancora non si hanno notizie dell’Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro.
«È partita in questi giorni dopo aver concluso tutti i passaggi e gli atti necessari. Capisco possano essere considerati tempi un po’ lunghi ma la legge va rispettata. È stata un’operazione complessa, ma in questi giorni si entra nella fase dell’operatività. Sono sicuro, poi, che entro fine anno faremo partire l’assegno di ricollocamento che è il primo strumento di politiche attive oltre a Garanzia giovani».
Il governo ha destinato molte risorse al sistema delle imprese, attraverso la decontribuzione e il taglio della tassazione (Irap, Ires) con l’obiettivo di rilanciare gli investimenti. Confindustria, però, ha rivisto al ribasso le stime di crescita del Pil…
«Dobbiamo tenere conto che siamo partiti da una situazione molto pesante. Nel 2013 la flessione del Pil è stata dell’1,9%, un dato rilevante. Noi abbiamo bloccato la caduta, che è durata sette anni, e invertito il senso di marcia. Ora abbiamo bisogno che gli investimenti privati crescano e noi faremo tutto il possibile affinché le imprese abbiano gli strumenti necessari per farlo».
Ma un sostegno maggiore degli investimenti pubblici a scapito delle decontribuzioni non sarebbe stato più efficace?
«Servono molti anni prima che un investimento pubblico importante produca lavoro. Bisognava invertire la rotta subito: bloccare miliardi a bilancio per investimenti pubblici non avrebbe prodotto nulla. Abbiamo incentivato i consumi interni e sostenuto l’occupazione: da quando governiamo abbiamo creato 585mila posti di lavoro».
In tutto questo parlare di pensioni, le azioni per il rilancio dell’occupazione giovanile quali sono?
«Anticipando il pensionamento o rendendolo più facile per i lavori usuranti significa liberare qualche posto per i giovani. Poi va detto che la Commissione europea, nell’ambito della revisione del bilancio 2014-2020, ha proposto il rifinanziamento su scala europea del programma Garanzia giovani per un totale di 2 miliardi per il triennio 2017-2020. È la conferma della validità del programma che abbiamo sempre sostenuto e l’accoglimento di una richiesta più volte avanzata dal governo».
Esternalizzazioni e terziarizzazioni nel mondo degli appalti sono spesso accompagnate da fenomeni di sfruttamento e di illegalità: come si può arginare il fenomeno?
«Un intervento c’è già nel nuovo codice degli appalti, poi abbiamo indicato la strada con la “clausola sociale” per fare in modo che nell’ambito dei subentri ci sia la possibilità di trasferire i lavoratori che stavano seguendo già quell’attività. C’è poi la questione dei controlli. È partito l’Ispettorato nazionale del lavoro che unifica l’azione di controllo di Inps, Inail e ministero del Lavoro. Finalmente avremo uno strumento unico, andremo nelle aziende una volta sola: liberare risorse significa poter fare più controlli».
Lo scandalo delle banche popolari ha mandato in fumo qualcosa come 15 miliardi di euro nel nostro territorio. Cosa non ha funzionato?
«Non intervenire quando si iniziano a vedere le problematicità produce quello che abbiamo visto. La riforma varata era indispensabile ma andava fatta parecchio tempo fa».
Gli occupati nel settore bancario sono troppi?
«Non è questo il punto. È in corso un grande cambiamento tecnologico con la dematerializzazione di molte operazioni. Bisogna saper gestire il cambiamento sul versante dell’innovazione con nuove opportunità e nuove professionalità».
Il Mattino di Padova – 18 settembre 2016