«Un’occasione unica per l’Italia. Se anche questa proposta sarà finalizzata potremmo parlare di un Rinascimento della sanità veneziana e noi ci collocheremo tra le prime aziende al mondo nella lotta ai tumori». Non aveva usato mezzi termini Antonio Padoan, allora direttore generale dell’Usl 12. Era la presentazione del nuovo progetto di un centro per la cura dei tumori con la radioterapia protonica: 15 giugno del 2005, un’era geologica fa.
Governatore era Giancarlo Galan, i project financing una manna dal cielo, Padoan il grande interprete in sanità, visto che si stava già costruendo con quel sistema il nuovo ospedale di Mestre ed era in fase di approvazione anche il padiglione chirurgico al Civile di Venezia. La nuova sfida era curare i tumori con questa tecnologia, all’epoca agli albori, che i tecnici ritenevano più precisa della radioterapia tradizionale e quindi migliore per la cura di neoplasie di dimensioni contenute.
Il sogno del 2005 è negli anni divenuto un incubo. Nel luglio del 2011 Padoan aveva firmato il contratto con il consorzio Ptc (Proton therapy center) Veneto, nonostante già da un anno fosse arrivato alla guida della Regione Veneto il nuovo presidente Luca Zaia, che i project li guardava invece con sospetto. In realtà Zaia e i suoi uomini erano rimasti bloccati dal timore di una maxi-causa contro la Regione e per questo all’inizio erano stati prudenti: ma quando i loro legali li avevano rassicurati sull’esito della sicura guerra giudiziaria, visto che a Padoan era subentrato il «fido» Giuseppe Dal Ben, hanno fatto saltare il tavolo. E la causa era arrivata immediata, con una richiesta di danni da 60 milioni di euro.
Ora però c’è una novità. Quella spada di Damocle che da un paio d’anni pendeva sopra la testa di Palazzo Balbi sarà disinnescata. Dal Ben e la cordata di privati che aveva proposto il centro protonico e che poi aveva anche vinto la gara per costruirlo e gestirlo hanno fatto la «pace». Tutto si chiuderà con una transazione: addio causa, tutti contenti. O quasi, come sempre accade in questi casi. D’altra parte l’Usl dovrà sborsare una bella cifra (si parla di qualcosa di simile a 5 milioni, ma le bocche sono cucitissime da ambo le parti) senza avere in mano nulla; i privati quei soldi li riceveranno, ma resteranno con il rimpianto di un grande sogno rimasto solo a un passo dal diventare realtà. Proprio in un periodo in cui, dieci anni dopo, oltre ad essere avviato il centro di protonterapia di Trento, ce ne sono 4 in costruzione nella sola Londra, uno attivo a Praga, uno quasi finito a Ryad, per la cui gestione sarebbe in pole position proprio Medipass, l’azienda bolognese che aveva portato a Padoan l’idea di un centro a Mestre, di fronte al nuovo ospedale. La notizia è circolata solo perché l’Usl, prima di firmare, ha chiesto alla sezione di controllo della Corte dei Conti un parere, che nell’accordo era addirittura citato come vincolante per la prosecuzione: parere che peraltro la Corte non ha dato, come sempre fa su casi troppo specifici. E ora c’è chi teme che l’altro ramo della Corte dei Conti, cioè la procura, possa chiedere conto di questa spesa o a chi ha creato questa situazione d’imbarazzo – cioè Padoan, che di fatto firmò il contratto con un salto in avanti non condiviso a Palazzo Balbi – ma anche a chi ora sborsa una cifra rilevante, seppur lontana dai 60 milioni chiesti in causa.
A bloccare il centro era stato il timore della giunta leghista che si trattasse di una voragine nei conti, come peraltro aveva previsto anche il Servizio ispettivo regionale in una relazione al vetriolo per conto dell’Arrs. Secondo gli ispettori, infatti, i privati, che avrebbe costruito integralmente a loro spese il centro con un investimento di 159 milioni di euro, ne avrebbero incassati 738 nei 19 anni e mezzo di concessione, ovviamente servizi compresi. Ma i tecnici regionali aveva messo in dubbio soprattutto l’efficacia e il numero di destinatari della cura, che secondo loro erano ben lontani dai 2 mila pazienti all’anno necessari per mantenere l’equilibrio economico del centro e dagli addirittura 4 mila stimati nella migliore delle ipotesi, puntando sulla capacità di portare a Venezia centinaia di malati da altri regioni e dall’estero. Gli ispettori avevano infatti parlato di poche decine di pazienti affette da tumori curabili con quel sistema. I privati erano anche disponibili a rivedere il progetto, magari ridimensionandolo in parte, ma ha prevalso la volontà di chiudere tutto. E d’altra parte le recenti notizie che arrivano da Trento sono tutt’altro che positive: in un anno e mezzo sarebbero stati curati solo 175 pazienti, di cui – fatalità – il 30 per cento sono veneti.
Il Corriere del Veneto – 18 settembre 2016