«Si vota nel 2018, comunque vada il referendum». La tabella di marcia con cui il premier Matteo Renzi si presenta al Caffè della Versiliana, dopo essersi visto un pezzo di finale olimpica della pallavolo all’hotel Imperial di Forte dei Marmi, non prevede più nessun automatismo tra l’esito del voto e il destino della legislatura. Anzi, davanti ad un’arena affollatissima, dove in prima fila si respira aria di casa, con la moglie Agnese e la nonna, il tesoriere del partito Francesco Bonifazi, l’amico imprenditore Marco Carrai, i sottosegretari toscani Antonello Giacomelli, Riccardo Nencini e Domenico Manzione, recita il mea culpa per averlo fatto in passato.
«Non è un voto su di me», insiste parlando del referendum costituzionale. «Per colpa mia, che ho sbagliato, è diventato una sorta di dibattito internazionale su tutto», su quello che ha fatto e fa il governo. «Ma è un referendum molto semplice: chi vota sì, vota per tagliare le poltrone, chi vota no si tiene il Paese che ha ora», sostiene il presidente del Consiglio intervistato dal lucchese Paolo Del Debbio.
«Sulla scheda il quesito spiega che si tagliano i parlamentari, si riducono i costi della politica, che si semplificano i poteri delle Regioni, che si supera il ping pong Camera- Senato, che si abbassa lo stipendio dei consiglieri regionali, che si cancella il Cnel», elenca il premier. E «la democrazia non è sotto assedio». I senatori, i parlamentari «che sostengono il no stanno difendendo le loro poltrone, i loro rimborsi», attacca.
Non solo i parlamentari peró. Anche l’Anpi sostiene il No al referendum. E se la posizione assunta dell’associazione dei partigiani crea imbarazzo nelle feste dell’Unità, il premier rilancia: «Il Pd ha paura dell’Anpi? Invito il presidente dell’associazione questo sabato o domenica sul palco di una festa dell’Unità emiliana. Decida lui dove», propone. È la mossa per riaprire il dialogo e il confronto, che oggi appare ridotto a pura contrapposizione: «Sul palco e davanti a tutti il presidente dell’Anpi Smuraglia spiegherà perchè vota no, io spiegheró perché sí. Poi ci daremo un abbraccio», è l’offerta del premier. Convinto che il Sí non appartenga solo all’elettorato del Pd : «Chiedo che si discuta nel merito, perchê tanti elettori che votano Lega o 5 Stelle voteranno sí. Scommettete che finirà cosí?».
D’Alema, invece, voterà No. «Fatevi una domanda e datevi una risposta, se D’Alema avesse impiegato un decimo del tempo che spende per attaccare me per attaccare Berlusconi, non saremmo a questo punto», dice il premier alzando la voce e raccolgiendo gli applausi della platea. Del resto «lui sta in compagnia di Berlusconi a votare per il No, pesca sempre la carta di attaccare quello piú vicino. Prima è toccato a Prodi. E la riforma di D’Alema (quella della bicamerale, ndr.) era molto più dura, il governo aveva molti più poteri», ricorda Renzi. Sottolineando che invece la legge Boschi non aumenta le prerogative del presidente del Consiglio. «Se D’Alema vuole fare la battaglia per difendere i posti, e magari tornare in Parlamento, auguri; ma non si utilizzi il referendum per cercare la rivincita al congresso che si farà quando previsto», dice il premier. A D’Alema e a tutta la sinistra interna.
Repubblica – 22 agosto 2016