Un cantiere nel cantiere. È quello della “fase 3” della spending review che ancora una volta dovrà costituire un pilastro della prossima manovra di bilancio autunnale. Anche perché con la frenata del Pil, prevalentemente a causa dell’effetto Brexit, e la conseguente necessità per il Governo di rivedere (al ribasso) le stime del quadro macroeconomico con la Nota di aggiornamento al Def attesa per fine settembre le stime, la revisione della spesa diventa una sorta di punto fermo della legge di Bilancio 2017 in versione “unificata” (dopo la scomparsa del Ddl di Stabilità).
Il tutto senza assumere una portata eccessiva anche per evitare ricadute di tipo eccessivo. La “spending” avrà anzitutto il compito di contribuire alla sterilizzazione delle clausole di salvaguardia fiscali (Iva e accise) per oltre 15 miliardi. Ma dovrà anche diventare uno dei serbatoi principali per garantire la “benzina” ai tanti interventi in cantiere a Palazzo Chigi e al Mef: da una prima sforbiciata all’Irpef o all’anticipo del taglio strutturale del cuneo fino al piano sulle pensioni flessibili. Considerando la correzione necessaria collegata al target attuale dell’1,8% di deficit concordato con la Ue per il 2017 (almeno 8 miliardi), che potrebbe però salire a quota 2% nel caso in cui Bruxelles concedesse ulteriori spazi di flessibilità, oltre all’impegno a disinnescare completamente le “clausole”, per far fronte alle cosiddette spese indifferibili e garantire la copertura ad almeno una parte delle misure attualmente allo studio servirà una manovra lorda di almeno 20 miliardi. Il commissario straordinario per la spending, Yoram Gutgeld, lavora a fari spenti muovendosi sulle linee guida già tracciate da diversi mesi ma senza fornire, per il momento, cifre. Per il prossimo anno i risparmi dovranno essere realizzati azionando prevalentemente tre leve: estensione del raggio d’azione dei fabbisogni standard; rafforzamento del meccanismo di centralizzazione degli acquisti Pa; attuazione della riforma della pubblica amministrazione. E secondo alcune stime tecniche, non confermate, dal Governo da questi ultimi due interventi potrebbero arrivare 2-2,5 miliardi.
Circa un miliardo di questa dote sarebbe ricavabile proprio dal decollo della processo di riorganizzazione della Pa previsto dai decreti attuativi della legge Madia. Con la possibilità di recuperare qualche altra risorse dall’adozione di un modello di razionalizzazione dell’Ict, da realizzare attraverso un “Programma di razionalizzazione acquisti dell’Ict Nazionale”. Una misura, quest’ultima, annunciata nell’ultimo Def insieme alla possibilità che il Mef si trasformi in pagatore unico delle amministrazioni centrali per molti servizi essenziali (energia, telefonia e via dicendo) oltre che acquirente di beni e servizi attraverso la Consip. Che resta centrale per la “fase 3” della spending. Il decollo del decreto del ministero dell’Economia (attuativo dell’ultima manovra) sui benchmark relativi ai prodotti merceologici trattati con il nuovo sistema di sole 33 stazioni appaltanti, che è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale alla fine di luglio, dovrebbe garantire risparmi significativi, maggiori di quelli prudenzialmente stimati nella relazione tecnica della Stabilità 2016. Il Governo potrebbe trovarsi a disposizione una “dote aggiuntiva” di 1 miliardo da sommare ai risparmi diretti della centralizzazione degli acquisti.
Sul versante dei risparmi ricavabili dalla riforma della Pa resta però da sciogliere il nodo partecipate. Una delle ipotesi è di lasciare le risorse recuperate dal piano di riassetto a disposizione dei bilanci dei Comuni. Ma la risoluzione al Def approvata dal Parlamento sollecita in modo esplicito il Governo a convogliare direttamente nel serbatoio della spending i risparmi ricavabili dall’intervento sulle partecipate.
Una fetta consistente di risorse arriverà poi dalla consueta operazione di “potatura” sui capitoli di spesa delle amministrazioni centrali, a partire dai ministeri. Non a caso Gutgeld da settimane setacciando tutti i singoli capitoli di spesa. Un’operazione che quest’anno si svilupperà sulla base delle nuove regole dettate dalla riforma del Bilancio con cui andrà in pensione la legge di stabilità. Che si unificherà in un testo unificato con il Ddl di Bilancio. E che, soprattutto, renderà vincolante e permanente la spending review. Proprio sul delicato fronte degli sforamenti nel budget dei ministeri il testo della riforma del Bilancio dello Stato uscito dalla Camera, e ora all’esame del Senato per l’approvazione definitiva, rafforza le funzioni di vigilanza del ministero dell’Economia e soprattutto attribuisce nuovi poteri d’intervento al premier per ricalibrare gli stanziamenti dei dicasteri interessati.
In parallelo alla spending review c’è tutta la partita sul riordino delle tax expenditures. Prima del varo della manovra di Bilancio l’apposita commissione attivata al Mef (e presieduta da Mauro Marè) per indicare la potatura degli sconti fiscali ormai da considerare “datati” o “doppioni” di altre agevolazioni dovrà fornire le sue conclusioni. Secondo alcune prime stime grezze si potrebbero recuperare 1-1,3 miliardi salvaguardando comunque gli sconti legati a prestazioni sanitarie e di welfare. Risorse che dovrebbero andare in parte a coprire l’eventuale prima sforbiciata all’Irpef o l’anticipo al 2017 del taglio strutturale del cuneo. Questi interventi in entrambi i casi dovrebbero avere un costo oscillante tra i 2 e i 2,5 miliardi.
Marco Rogari– Il Sole 24 Ore – 21 agosto 2016