«Ha da passà ‘a nuttata», sì è vero il periodo e duro e siamo sotto pressione, ma prima o poi passerà tutto, anche la riforma Madia. Anche i voti, le pagelle, il rischio di essere «bocciati» e di doversene tornare a casa, senza più status né poltrona. Sbaglia chi pensa che nei palazzi dei ministeri o delle Regioni si attenda con terrore che la riforma della dirigenza faccia il suo corso. Sbaglia chi si immagina una casta impaurita: la categoria sa di avere un asso nella manica.
È l’articolo 97 della Costituzione, quello che recita come nei «pubblici uffici» debba essere garantita «l’imparzialità dell’amministrazione ». Secondo i dirigenti il decreto Madia non rispetta tale principio, «ma elementi di illegittimità sono presenti già nella legge delega» precisa Michele Gentile, coordinatore della funzione pubblica per la Cgil .
Davanti al palazzone in via XX Settembre, sede dell’ Economia, la quintessenza del potere ministeriale, per descrivere il clima interno si cita la famosa frase di «Napoli milionaria» . Fa caldo e manca poco a Ferragosto, ma fra i “capi” rimasti al lavoro non sembrano aleggiare tensioni. «Il decreto per adesso non andrà al Consiglio dei ministri» – diceva già nel primo pomeriggio, prima che il fatto diventasse ufficiale, un dipendente in pausa caffè informato sui fatti e amante dei De Filippo. «Nel palazzo nessuno è preoccupato perché tanto è da qui che passano tutte le decisioni, anche quelle sulla riforma Madia ».
Sembra infatti che al Mef siano poco d’accordo sul testo del decreto che, fra le varie novità, istituisce il ruolo unico e quindi parifica i dirigenti di prima fascia (che all’Economia sono numerosi) a quelli di seconda, disperdendo – secondo le critiche – competenze specifiche sul cui destino dovrebbe decidere “la politica”. La ministra della Pubblica amministrazione sa di avere la classe dirigente dei ministeri contro e sa – perché Stefano Bonaccini, presidente delle Conferenza Stato-Regioni glielo avrebbe espressamente detto che molti governatori sono pronti a far ricorso sulle possibili ingerenze del centro nelle decisioni locali (i ruoli unici della dirigenza lo permettono). L’avvio del decreto, in realtà, è rimandato solo di una quindicina di giorni, scade a fine mese ed è improbabile che il governo non lo vari nel prossimo consiglio dei ministri previsto per il 25 agosto. Si tratta di capire se in questi giorni sarà possibile trovare una formulazione soft in grado di spuntare gli attacchi annunciati. Quelli che attendono la Madia al varco del dibattito parlamentare.
Le contestazioni che arriveranno riguarderanno l’incostituzionalità del decreto. Sotto tiro c’è soprattutto la decadenza automatica del mandato dopo 4 anni d’incarico: al di là della valutazione e dei risultati raggiunti, dicono i dirigenti, il vertice dell’ amministrazione può essere spostato. «Uno spoils system mascherato che permetterà alla classe politica di scegliersi gli amministratori sia a livello centrale che locale, con buona pace dell’imparzialità prevista dalla Costituzione » commenta Silvano Franzoni, dirigente del comune di Brescia e coordinatore Cgil. L’Agdp, l’associazione dei dirigenti, precisa che «tagli di stipendio e licenziamenti non ci spaventano: i contratti lo prevedono già, basterebbe applicare le norme. Ci preoccupa invece l’incapacità della politica nel determinare gli obiettivi, spesso fumosi, volti alla ricerca del consenso e privi di programmazione. Servono regole e organismi di valutazione trasparenti, altrimenti sarà facile bocciare chi non è considerato amico». E per premiare gli amici, assicura A. B. ,dirigente piemontese «basta assegnare obiettivi facili facili. In certi casi si fa già».
Repubblica – 11 agosto 2016