Il 10 luglio di quarant’anni fa un’enorme nube di diossina si sprigionò dall’azienda Icmesa di Meda, in Brianza. L’incidente fu determinato da un guasto a uno dei reattori chimici dell’impianto e provocò un grave danno ambientale. Seveso fu tra i Comuni più colpiti: centinaia di persone costrette a trasferirsi, le loro case abbattute, i terreni da bonificare. Ieri nel «Bosco delle querce», la zona più contaminata, si è tenuta una cerimonia di commemorazione. Anche il capo dello Stato ha inviato un messaggio: «La vostra bonifica e ricostruzione ha interagito con una più matura coscienza ecologica»
di Enzo Biagi. Ha appena cessato di piovere. I camion dei carabinieri si muovono lenti nel fango. Il geometra del Comune tiene in mano la carta, segnata con righe rosse, o righe blu: zona A e zona B, c’è scritto. Vedo un gruppetto di case, degli orti, un pezzo di terra gialla non coltivata, un campo di granoturco. I soldati piantano dei paletti, stendono il filo spinato. Dei cartelli avvertono che non bisogna toccar nulla, neppure l’erba. Duecento persone debbono sgomberare. Mi fermo a chiacchierare con una donna; si chiama Rosalia Conti. Sta davanti al cancello, e guarda con apprensione le jeep, gli autocarri, quei soldati col basco nero che prendono posizione.
«Hanno dato l’ordine — dice — di lasciare tutto in un colpo. Ma c’è anche la biancheria». «Nessuno la ruberà — dico —. Penso che faranno la guardia» […]. Arriva il marito; è un veneto, lavora da muratore […]. «Sembrava — dice Rosalia Conti — una cosa da niente. Invece. Una nebbia che veniva da laggiù». «Dietro quelle robinie, vede quel pezzetto di ciminiera? C’è l’Icmesa», dice il marito. «S’è sentito un fischio, i bambini giocavano in cortile, e ho urlato: “Venite su”» […]. «Faceva un odore, un odore di roba chimica». «E un soffio d’aria spingeva quella nuvola, che è entrata in cucina, e anche nella sala, e dopo un po’ i miei figli avevano le chiazze rosse in faccia, e sono diventati gonfi; il maschio è meno grave, la bimba l’hanno portata a Milano», dice il marito […].
«I gatti, i polli, i conigli, anche gli uccellini sono morti subito — racconta — forse perché più deboli, resistono di meno».
Non c’è, nella gente, il senso dello sgomento, della paura; è un male che non si vede, difficile da spiegare […]. È un’angoscia che non appare, perché la tragedia si nasconde nel futuro, e nei misteri dei cromosomi, o nelle possibilità sconosciute e insidiose di certe formule, TCDD, o di certi nomi difficili: diossina […].Che cosa può accadere domani a coloro che sono stati colpiti? […]. Chi ha la responsabilità di stabilire che la minaccia è cessata, chi può assicurare che dopo, fra dieci, venti anni, non ci saranno ancora conseguenze? […]. La sostanza tossica investe un po’ tutti, e lascia invisibili segni. Soltanto che non ci rendiamo conto di quello che può provocare alla lunga, fin dove arriva a corrodere: basta che un soffio di vento porti via il fumo acre, e tutto ritorna come prima.
Il Corriere della Sera – 11 luglio 2016