Pubblicato sulla «Gazzetta Ufficiale» del 28 giugno il decreto per mettere alle corde i «furbetti del cartellino». Vita dura dal 13 luglio per i “furbetti del cartellino”. Da tale data, infatti, entreranno in vigore le norme del Dlgs 20 giugno 2016, n. 116, pubblicate martedì sulla «Gazzetta Ufficiale», che modificano l’articolo. 55 quater del Testo unico del pubblico impiego (Dlgs 165/2001), allo scopo di combattere il fenomeno della falsa attestazione della presenza in ufficio da parte dei dipendenti pubblici.
La falsa attestazione della presenza, secondo la riforma, si realizza quando il dipendente, con qualunque modalità, faccia risultare in maniera fraudolenta – anche avvalendosi di terzi – di essere in servizio, oppure tragga in inganno l’amministrazione circa l’orario di lavoro effettivamente svolto.
Se la falsa attestazione della presenza viene accertata in flagranza, oppure mediante l’utilizzo di strumenti di sorveglianza o di registrazione degli accessi o delle presenze, l’Amministrazione deve disporre immediatamente – e comunque entro 48 ore dalla conoscenza del fatto – e con provvedimento motivato la sospensione cautelare del dipendente, senza necessità di ascoltarlo preventivamente.
Il superamento di tale termine non determina inefficacia della sospensione e non comporta la decadenza dall’azione (analogo principio è previsto per la successiva procedura disciplinare).
La sospensione è una misura diversa dal licenziamento, ma i suoi effetti concreti di fatto anticipano le conseguenze dell’eventuale e futura misura di recesso dal rapporto; infatti, durante il periodo di sospensione non spetta lo stipendio, anche se deve essere riconosciuto un trattamento minimo alimentare, nella misura stabilita dalle disposizioni normative e contrattuali vigenti.
Dopo la sospensione, deve essere avviato il procedimento disciplinare, finalizzato ad ascoltare le difese del lavoratore e ad adottare l’eventuale misura sanzionatoria, in caso tali difese risultino insufficienti; anche per questa fase sono previsti termini accelerati.
Il dipendente è convocato, per il contraddittorio a sua difesa, con un preavviso di almeno 15 giorni, e l’ufficio conclude il procedimento entro 30 giorni dalla ricezione, da parte del dipendente, della contestazione dell’addebito; al termine della procedura il lavoratore può essere licenziato, se le giustificazioni addotte non sono considerate sufficienti.
Dopo il licenziamento, al dipendente non resta che andare davanti al giudice del lavoro, sperando che questo trovi delle irregolarità formali o sostanziali nella procedura; in tal caso, potrebbe essere invocata l’applicazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori nella versione originaria, stando a quanto sancito dalla Corte di Cassazione con la sentenza 11868/2016. Il dipendente che attesta falsamente la presenza rischia di risarcire anche il danno di immagine prodotto alla pubblica amministrazione: il responsabile della struttura che ha sospeso il lavoratore deve, infatti, denunciare il fatto al pubblico ministero e trasmettere gli atti alla procura regionale della Corte dei Conti entro 15 giorni dall’avvio della procedura disciplinare.
La procura, entro tre mesi dal licenziamento, può emettere nei confronti del dipendente un “invito a dedurre” in merito al risarcimento per danno di immagine alla pubblica amministrazione.
L’eventuale danno viene liquidato dal giudice in via equitativa, tenendo conto della rilevanza che ha avuto la vicenda sui mezzi di informazione (ma in misura non inferiore a sei mensilità dell’ultimo stipendio percepito dal dipendente).
La legge punisce anche i dirigenti e i responsabili dell’ufficio che, avendo conosciuto l’illecito, non si siano attivati prontamente per applicare la nuova procedura: tale omissione costituisce illecito disciplinare punibile con il licenziamento, e deve essere comunicata all’autorità giudiziaria ai fini dell’accertamento della sussistenza di eventuali reati.
Giampiero Falasca – Il Sole 24 Ore – 30 giugno 2016