La proposta del governo, per economisti di destra e sinistra, tra favorevoli e contrari, conferma che il futuro della previdenza è privato, tra fondi integrativi e anticipi delle banche. Assicurazioni, prestiti e fondi: così le pensioni saranno sempre più private La pensione anticipata garantita da un prestito in banca è un’idea, per il momento, ed è bene scriverlo come premessa. Ma è un’idea che nasce dentro le stanze di palazzo Chigi, dunque rivendicata e descritta come di imminente realizzazione.
È un progetto ufficiale, presentato ai sindacati, e non solo un’anticipazione della stampa. Si chiama Ape. Non è quindi solo polemica il dibattito che si è scatenato dopo che il sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Tommaso Nannicini, e il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, hanno presentato il piano, confermando invece di non voler mettere mano alla riforma Fornero.
I toni sono alti, è vero, più dall’opposizione, però, che dai sindacati: di «governo delle banche», parlano i 5 stelle come la Lega, e anche Sinistra Italiana e i civatiani di Possibile. Ma «il prestito pensionistico è l’unica modalità per dare risposte nel breve termine», dice il viceministro dell’Economia Enrico Zanetti. Il prestito non è una boutade, dunque: «È impensabile costruire oggi una flessibilità», dice Zanetti.
Al termine di un incontro tra governo e sindacati al ministero del Lavoro, il sottosegretario Tommaso Nannicini ha presentato le linee guida dell’Ape, il meccanismo finanziario attraverso il quale i lavoratori potranno chiedere un anticipo all’Inps per uscire dal lavoro anticipatamente rispetto ai requisiti della legge Fornero. Il prestito verrà finanziato dalle banche e dovrà essere restituito con interessi ancora da definire a rate, da pagare per un periodo massimo di venti anni. Il governo preverà delle detrazioni fiscali per le categorie di lavoratori che necessitano tutela che potranno coprire una quota variabile del capitale da pagare. Nannicini ha specificato che il costo dell’operazione per la finanza pubblica non è di 10 miliardi (come ipotizzato in alcune indescrezioni della vigilia), ma almeno dieci volte inferiore.
Funzionerebbe così: per i primi tre anni di sperimentazione i nati tra il 1951 e il 1953 potranno andare in pensione fino a tre anni prima del previsto, accedendo a un prestito di un istituto di credito sottoscrivendo una polizza assicurativa che lo ripaghi in caso di morte. Non è ancora chiaro se la polizza sarà a carico dallo Stato. Il prestito comunque andrà restituito, ovviamente, nei 20 anni successivi. Una comoda rata mensile, presa direttamente dalla pensione. Di quanto? Dipende dagli anni di anticipo, evidentemente. Ma secondo uno studio della Uil un solo anno di anticipo, ipotizzando un’indicizzazione del trattamento previdenziale dell’1% per ogni anno e un tasso d’interesse applicato del 3,5 (e questo potrebbe esser più basso con specifici accordi), un lavoratore con una pensione di 1.000 euro lordi perderebbe il 6,9% della pensione: 898 euro l’anno. Qualcosa in meno per chi potrà godere – ma il governo non ha dato dettagli sulla platea – delle detrazioni, assicurate – per alcuni redditi – con circa 800 milioni l’anno.
Sarà conveniente? Dipende dalle necessità individuali, si può immaginare, considerando però che l’anticipo della pensione potrebbe esser una scelta obbligata rispetto alla disoccupazione, come notano ad esempio dalla Cgil e dalla Fiom, con Maurizio Landini che chiede di capire meglio, soprattutto chi riguarderebbe l’opzione, e poi precisa: «La nostra posizione è che bisogna ridurre l’età pensionabile e quando parliamo di riforma strutturale della Fornero è perché pensiamo che c’è un problema che riguarda anche i giovani. Un sistema contributivo non può essere accettato». «Il governo non ha dato dettagli», dice Landini. Ma è sentendo Giuliano Cazzola, però, che possiamo capire quale sia la direzione.
Cazzola, economista – un passato remoto in Cgil, uno prossimo con Forza Italia, e un presente da alfaniano, ma non parlamentare – è entusiasta. «Che altro dire, se non mandare un bel ‘ciaone’ a Boeri e a Damiano?», dice sorridente, pensando al presidente dell’Inps e al deputato della sinistra del Pd che chiedevano che l’intervento fosse gestito dal pubblico. Per lui la scelta del governo è invece migliore: «È un tassello in più verso la privatizzazione della previdenza», dice. E per lui è una buona notizia. Su Linkiesta Cazzola ha persino scritto una guida per i fondi pensioni dal titolo chiaro: «Cari trentenni fatevene una ragione, il futuro della pensione è privato».
Poi con l’Espresso riconosce i problemi del sistema mistoormai modello indiscusso: «Mi dico contento e sono favorevole ma ne ricoscono i limiti attuali, certamente», continua, «la previdenza privata miracoli non ne fa anche perché ti dà quello che ci metti, e se i redditi sono discontinui o bassi, e l’aliquota obbligatoria è invece alta come lo è pure per gli autonomi, è evidente che tu lavoratore ci metti poco». Poco in pochi, peraltro, «perché sono solo 7 milioni gli italiani che già si appoggiano sulla seconda gamba del sistema, quella privata», conta Cazzola, «e bisognerà fare in modo che aumentino».
La sua proposta, a tal proposito, è di liberare parte della contribuzione obbligatoria dirottandola dall’Inps – a danno quindi del futuro assegno pubblico – verso i fondi integrativi, «da cui il lavoratore può sperare di avere rendimenti migliori». Sperare, che è parola tipica di una finanziarizzazione: «Una finanziarizzazione che potrebbe dare i suoi frutti», dice però Cazzola, convinto che l’idea sia già a palazzo Chigi, tra Nannicini e gli staff del premier e che sia solo più difficile, perché prevede dei costi in termini di ammanco per l’Inps. L’ex sindacalista propone poi come passo ulteriore verso il modello misto, quello in favore della previdenza sanitaria privata: «È assurdo che nessun governo, né di destra, né di sinistra, si sia posto il problema di una regolamentazione dei fondi sanitari che oggi sono sostanzialmente delle polizze vita». Bisognerebbe invece dare un modello e incentivare anche quelli, per Cazzola, affinché aumentino gli italiani con un’assicurazione, così come «dopo a riforma del ‘93 sono aumentati i fondi integrativi, che prima esistevano ma erano molto meno diffusi».
La lettura di Cazzola è la stessa di Beppe Scienza, matematico esperto di pensioni, saggista e professore all’Università di Torino: la tendenza è quella di spingere verso la previdenza privata. Solo che Scienza, da sempre contrario persino ai fondi integrativi, è molto meno contento: «Come per i fondi pensione, sempre più favoriti dai governi, anche l’idea del prestito per la pensione anticipata», dice, «va verso la privatizzazione del sistema pensionistico». Anche però dando per buone le premesse del governo, e quindi senza voler considerare il tema di una riforma complessiva, Scienza si chiede perché i prestiti non li faccia direttamente lo Stato: «Se le banche e le assicurazione hanno una loro convenienza nell’operazione – e ce l’hanno perché nessun istituto si è lamentato del progetto, anzi» dice Scienza a l’Espresso, «lo Stato potrebbe offrire lui stesso i prestiti, attraverso l’Inps, guadagnandoci lui e non società private».
Lo Stato ci guadagnerebbe, ci sarebbe lo strumento della flessibilità, e però magari gli interessi potrebbero esser minori. Questa era peraltro, più o meno, la proposta di Damiano e Boeri. Ancora più critico è poi Christian Marazzi, economista e analista, autore di libri come “E il denaro Va” e “Diario della crisi”. Il professore, svizzero, intervistato da il manifesto va più di teoria: «Siamo nel pieno della bioeconomia nel senso della messa a valore finanziario della vita», sostiene Marazzi, «quella del governo italiano è una pura e semplice titolarizzazione dei diritti sociali».
L’Espresso – 19 giugno 2016