Paolo Baroni. La sentenza della Cassazione su statali e articolo 18 non ha chiuso la questione. Anzi. Il giorno dopo la pronuncia della Suprema corte, che ha ribadito che agli oltre 3 milioni di travet al contrario del settore privato le norme della legge Fornero non si applicano, la polemica cresce. E divide il governo.
Il «muro» dell’art. 18
Il primo ad attaccare, dal palco del convegno di Santa Margherita, è il presidente dei Giovani industriali Marco Gay, che dice quello che la gran parte degli italiani pensa. Ovvero che è arrivata l’ora di dare un taglio a questo tipo di privilegi. «Via l’articolo 18 anche nella Pa», afferma convinto, ricordando che l’eliminazione dell’art. 18 è stato uno degli elementi che stanno portando al crollo del «muro che ha bloccato il Paese negli anni della crisi».
«Con Marco Gay sono d’accordo su tante cose, non su questo», ha risposto di lì a poco il ministro della Pubblica amministrazione. «A me pare stia passando un messaggio sbagliato, e cioè che nella pubblica amministrazione sei inamovibile», ha spiegato Marianna Madia, ricordando che la prossima settimana verranno approvate le norme sui furbetti del cartellino e che «nel Testo unico sul pubblico impiego supereremo alcune aberrazioni che ci sono oggi, come ad esempio il fatto che un vizio formale blocchi il licenziamento di una persona che deve essere licenziata».
La Madia tiene il punto
Sull’articolo 18 il ministro ribadisce poi la sua posizione. Che non cambia nemmeno dopo la giravolta della Cassazione che giovedì ha sostenuto l’esatto contrario di quanto aveva deciso a novembre. Segnale che la materia si presta a molteplici interpretazioni. «Di cosa parliamo? – chiede polemica la ministra -. Portiamo la normativa del privato tout court nel pubblico? Sapete chi paga quel licenziato che non ci doveva essere? La collettività». Insomma, «c’è una differenza oggettiva e sostanziale tra un imprenditore che ragiona con i suoi soldi e chi con i soldi di tutti». A suo giudizio, non si tratta tanto di difendere dei privilegi. Tutt’altro. «C’è da difendere più di un valore costituzionale, imparzialità, autonomia, indipendenza. Noi siamo molto severi sul licenziare chi deve essere licenziato nella Pa e stiamo cambiando la normativa per questo. Ma si tratta di evitare che per capricci politici si allontanino, con i soldi della comunità, i soldi di tutti, persone che non devono essere licenziate».
Sulla stessa linea il ministro del Lavoro Giuliano Poletti, che come Madia conferma che «il Jobs Act non si applica al pubblico impiego ma solo ai lavoratori privati. Lo abbiamo scritto in un italiano chiaro. Non ci sono malintesi». Chi si distacca da questa visione è il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, secondo il quale l’articolo 18 «appartiene al passato». «Non discuto la sentenza della Corte, ma francamente l’art. 18 è qualcosa che appartiene a mondi diversi».
Secondo il giuslavorista (e senatore Pd) Piero Ichino, però, più che le parole del ministro della Pa «conta la legge ed il Jobs Act non richiede alcuna norma ulteriore per l’estensione dell’applicazione al settore pubblico». Dove il vecchio articolo 18, quindi, non vale più.
La Consulta e i limiti di età
Intanto il ministro della Pa incassa un altro risultato importante: ieri la Corte costituzionale ha infatti «promosso» il decreto legge Madia (convertito nella legge 114 del 2014), che dice no al trattenimento in servizio oltre i limiti di età per la pensione nella Pa. La Consulta con una sentenza deposita oggi ha dichiarato infondate le istanze di incostituzionalità relative che riguardavano alcuni docenti universitari e avvocati dello Stato. Il provvedimento, tra l’altro, sostiene la Corte, «favorisce il ricambio generazionale».
La Stampa – 11 giugno 2016